John Smith
Great Lakes
[
Barp Ltd
2013]

www.johnsmithjohnsmith.com


File Under: naked folk

di Gianuario Rivelli (04/07/2013)

Salutato da più parti come la next big thing del folk d’Oltremanica, John Smith (tradotto: come non volersi distinguere con nome e cognome) ritorna sulle scene dopo due anni non facili di blocco creativo e di ridefinizione delle sue priorità artistiche. Troppo densi e inaccessibili i suoi lavori precedenti, e così dopo lo stallo ecco il rilancio con Great Lakes, realizzato con la collaborazione di un nome pesante come Joe Henry, di Dennis Elsworth e di Lisa Hannigan, nella cui band Smith è titolare della chitarra solista. Ridondante di metafore acquatiche nei testi e nella copertina, rimaniamo in tema dicendo che Smith cavalca l’onda di un folk britannico più che mai à la page, ricercando la semplicità attraverso stilemi ortodossi che concedono ben poco spazio a suoni non generati dalle corde di una chitarra.

Non piacione come Mumford & Sons, privo del brillante songwriting di Josh Ritter, incapace di scavare nell’anima come Laura Marling, lontano dalla tensione del primo Damien Rice, Smith condivide comunque un pezzo di dna con ognuno dei succitati e in questo suo quarto disco decide di confezionare una veste sonora scarna per storie che ruotano attorno all’amore e alle sue pene. Il risultato complessivo è altalenante: le prelibatezze non mancano in Great Lakes, ma il loro effetto è attenuato da momenti anonimi, che difettano della personalità necessaria perché canzoni di questo tipo riescano a farsi riascoltare. Certo, da uno capace di una ballata magnifica soulful quale è Forever to the End, che fa pensare a Ben Harper (e non solo per il ricorso alla lap steel) e commuove raccontando di un doloroso addio, non ci si aspetterebbero pagine così interlocutorie come Away Ee Go o la conclusiva Lungs. A fronte di una Perfect Storm convincente nel suo semplice aumento delle frequenze nude del fingerpicking, c’è una Freezing Winds che non osa e rimane a metà del guado. L’utilizzo della slide non riesce a far assurgere Town to Town, mentre funziona piuttosto bene nel brano d’apertura, There is a Stone, compendio di suoni acustici che illustrano le difficoltà nel dar voce ai propri sentimenti.

Salty and Sweet
, con Lisa Hannigan al controcanto, è una melodia folk tanto semplice quanto efficace nella sua solarità, mentre in England Rolls Away Smith guarda a uno dei suoi numi tutelari, John Martyn, e non se la cava poi così male. La title track, che in certe fasi riecheggia Damien Rice al netto del pathos, colorata com’è da archi e percussioni, è uno degli episodi migliori della collezione e potrebbe rappresentare la via da seguire per John Smith: non essendo esattamente un fuoriclasse per songwriting e personalità, meglio sarebbe non lasciare la sua chitarra a sbirgarsela da sola e supportarla con altri strumenti. Così com’è, Great Lakes è un disco spesso piacevole, talvolta impalpabile e con deficit di determinazione, in cui i diversi spunti interessanti finiscono per annacquarsi in un clima generale da vorrei ma non sempre ci riesco.


     


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