Ad Vanderveen
Driven By A Dream
[
Blue Rose
2012]

www.advanderveen.com


File Under: folk rock, country rock

di Davide Albini (01/02/2013)

Il nuovo album di Ad Vanderveen si chiude sulle note dell'unico brano non originale scelto per la raccolta, una cover di When I Paint My Masterpiece di Bob Dylan, ma sono pronto a giurare che il vero faro della sua scrittura sia Neil Young. In effetti lo stesso classico dylaniano prende un'aria vagamente dolciastra e west coast che non gli appartiene del tutto, come a ribadire che il folk rock e le ballate del songwriter olandese guardano più all'esperienza dei 70s californiani, in generale a tutta quella generazione di autori dall'animo più tormentato e intimista. Non è la prima volta che arriviamo a queste conclusioni presentando la musica di questo non più giovanissimo giramondo: europeo nel passaporto ma americano nell'anima (ha registrato a Nashville e più volte ha affrontato tour negli States), Vanderveen incide da anni con la Blue Rose (Days of the Greats e Faithful To Love la più recenti testimonianze), portando il suo messaggio ad incontrarsi con colleghi di un certo blasone.

Ha collaborato infatti con Iain Matthews, David Olney, Al Kooper e John Gorka e per questo Driven By a Dream (i sogni rimandano ancora a quella stagione lontana di cui sopra) si è rivolto alla produzione del britannico Matt Butler (Paul McCartney e Pink Floyd nel suo importante curriculum), registrando parte del materiale negli storici Rockfield Studios in Galles e parte in terra olandese, con un fedele combo di musicisti locali, tra i quali spiccano il polistrumentista Timon van Heerdt e l'ospite Simon Moore all'hammond. A cinquantasei anni e dopo una ventina o quasi di album in saccoccia (un po' altalenanti come qualità, ma spesso è il prezzo da pagare per l'indipendenza), Vanderveen realizza forse quello che potrebbe essere considerato uno dei suoi lavori più completi, antologia di malinconiche e agrodolci ballate che in Time Has Told e Rest in Peace riportano alla grazia di Harvest (una pietra miliare per stile e atmosfere), mentre nei momenti più elettrici (la stessa title track e Would't that Be a Shame) non perdono mai di vista la loro forza melodica.

La voce di Ad Vanderveen aiuta molto in questo senso: è pacata e infonde serenità ai versi, che prendono spunto da un mondo in subbuglio sul quale occorre calare una ricerca di sé stessi e della propria direzione umana. Gli spunti nell'album sono diversi e anche se non avranno il gusto della sorpresa, garantiscono una certa solidità che è spesso sinonimo di semplici, raffinate canzoni, dalla melodia retrò e country oriented di So happy I Could Cry all'acustica (piano e chitarra) di Vicious Circle, per approdare alla presenza elettrica di Calm Before the Storm. Probabilmente un'opera folk rock poco appetibile al di fuori degli affezionati di genere, anche perchè qui tutto omaggia i propri eroi musicali, eppure sono sicuro che varrebbe la pena sentirlo dal vivo nel suo attuale tour europeo.


    


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