William Fitzsimmons
Lions
[
Gronland/ Audioglobe 2014]

williamfitzsimmons.com

File Under: indie folk

di Marco Poggio (28/02/2014)

Con un'infanzia difficile, cresciuto da due genitori entrambi ciechi, ed un'età adulta altrettanto travagliata, complice un doloroso divorzio, William Fitzsimmons sembra aver trovato nella musica la propria salvezza da una inevitabile deriva esistenziale. Musica da sempre presente nella vita del barbuto songwriter, prima come necessità comunicativa per appianare l'ostacolo fisico della cecità genitoriale, e in seguito quale salvifico tramite attraverso il quale esorcizzare i propri demoni interiori. Ne sono un esempio tanto l'incensato The Sparrow And The Crow, malinconica riflessione sulla fine del proprio matrimonio, quanto la timida solarità di Gold In The Shadows, a siglare, musicalmente, l'alba di una nuova esistenza, artistica e non.

Un'armonia emotiva ulteriormente acuitasi in questi ultimi tre anni definiti, dal nostro, come "meravigliosi, dolorosi, lunghi ma incredibilmente brevi, tra i più educativi e gratificanti che io abbia mai vissuto" e oggi permeante i pentagrammi di questo suo sesto lavoro, seppur filtrata attraverso un monocromatismo dalle grigie tinte autunnali, dove protagoniste sono, come sempre d'altronde, una voce, dalla disarmante fragilità e il delicato pizzicare di una sei corde acustica. Prodotto da Chris Walla dei Death Cab For Cutie, Lions si colloca, infatti, giusto a metà tra la pacata ariosità del suo predecessore e la chiaroscurale mestizia di The Sparrow And The Crow, mostrando il songwriting fitzsimmonsiano nella sua più cruda essenzialità, increspato appena da mai invasive cesellature elettriche e da ovattate decorazioni elettroniche. Vedono così la luce composizioni dalla tenue, umbratile bellezza, come l'opener Well Enough, avvolgente nel suo trattenuto intreccio elettroacustico, o la soavità di una Sister dalle incantevoli armonizzazioni vocali. Sulle medesime coordinate si attestano le acustiche oscillazioni umorali di una Brandon di rarefatta delicatezza folkie, e l'agreste quiete di una sussurrata Josie's Song.

Mirabile per costruzione armonico-ritmica è From You, frutto di un maggior lavorio in fase di arrangiamento, tra lo strascicare ritmico della batteria, l'ostinata liquidità d'un organo, e gli evocativi fraseggi della chitarra elettrica, mentre la title track pare, dal canto suo, trovare giovamento percussivo dal battere digitale di una drum machine. Nevrosi elettriche caratterizzano l'incipit di Centralia, prima di stemperarsi in una livida, scura, ballata, su di un fondale di crepitante rumorismo. E se la "familiare" ombra di Nick Drake si allunga tanto sulle bucoliche morbidezze acustiche di Hold On, quanto nell'arpeggiare, in punta di dita, di Blood/Chest, ben contrappuntato dal sinuoso scivolare dell'archetto di un violoncello e dal placido picchiettare dei tasti del pianoforte, la squisitezza melodica di Fortune è, al contrario, un effimero raggio di sole teso a rischiare il grigiore malinconico di un songwriting confermatosi, pur nella sua monocromatica essenzialità, ancor una volta alquanto ispirato.


    


<Credits>