Fox & The Bird
Darkest Hours
[
Fox and the Bird 2013]

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File Under: retro folk

di Christian Panzano (22/01/2014)

I Fox & the Bird. C'è una bella foto che li ritrae in un momento di jam, sono su un rialzo di massetto di una delle tante case stile subdivision, coi sederi addossati agli studs. Raggi di sole sorvolano il banjo, solleticano il manico della chitarra e rimbalzano sul mantice ad ancia della fisarmonica. Credo che una foto così valga più di ogni altra cosa per riassumere la pasta di Darkest Hours. Si perchè sono tutto fuorchè oscure queste ore: c'è un sing along, un'armonia di cui quasi ci si vanta, con accordion e banjo a ripulirne i climax menando umiltà ove capita. Spesso questa deferenza lievita e si tramuta in timore reverenziale (Habit, Valley) o pauperismo (Wreck of the Fallible) ma non c'è da stupirsi, d'altronde siamo nel cuore della bible belt, Dallas, stato del Texas.

Quello che più giustifica l'operazione è sicuramente il senso corale di tutto l'impianto armonico che, preso in toto, sdoppia e ricuce i connotati del lavoro. Il femmineo ritorno vocale dona un senso di eterno fluire che vibra in parallelo ad una mielosa risma strumentale, pena cui tocca sottostare. Mielosa è dir poco, direi caratterialmente sdolcinata. Prendete un brano come Dreamers, cos'è se non un Phil Collins versione barbecue! Enon è che mi dimentichi di contestualizzare o circoscrivere la band, di certo so come ci sia tutto un florilegio di Beaten Sea e Sarah Jaffe e Doug Burr e Tift Merritt, volti che stanno tracciando-sdoganando le linee di una neo-americana o di un neo-folk-pop proprio lì nello Stato di Rick Perry. Che poi tanto neo non è e che questi Fox & the Bird si ritengano parte attiva di tutto ciò è cristallino. Loro semplicemente ci infilano molto meno "neo" e cioè molto meno pop, alla fine del barbecue, congelando il tempo nelle radici e nei ricordi dell'antico fervore.

A mio parere la loro epica soffre di un eccesso di correttezza, permettetemi di chiamarla così. Insomma spingere così troppo sulle voci, quasi per sfinimento o per inerzia che nemmeno i cori per Joel Osteen e la sua Lakewood o i CSNY, tanto per essere blasfemi e sarcastici, con le ottave sottili che prendono leggermente piede e si nutrono di puritano respiro (When I Was Young). Voglio dire non c'è nulla di assolutamente sbagliato o tecnicamente eccepibile in queste liete storie di ordinaria routine casalinga, tutto fila liscio come in un normale festival coi baldacchini dei venditori di frittelle e un buffissimo big Tex a troneggiare sul rodeo. C'è forse da salvare la tromba, le cui direzioni di flusso dell'aria provocano ronzii mex e amorevoli palpiti proprio ai limiti di un imperituro confine (Rough Darlin' e No Man's Land).



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