Kurt Vile
b'lieve i'm going down
[
Matador/ Self 2015]

www.kurtvile.com

File Under: indie americana

di Fabio Cerbone (12/10/2015)

Walkin on a Pretty Daze è stato il disco delle definitiva consacrazione, opera magmatica che poneva Kurt Vile al centro di quella tensione fra tradizione folk e indie rock, cercando nuove vie e interpretazioni ai linguaggi del passato. Continuo a pensare che ci fosse un po' troppo entusiasmo intorno a quell'opera: il personaggio possiede tutto il talento per meritarsi le attenzioni guadagnate sul campo, ma la sua battaglia per diventare un autore adulto e completo mi sembrava ancora "in divenire", e forse per questo avevo affondato un po' troppo il coltello. Non siamo alle ritrattazioni, perché ogni giudizio implica anche prendersi qualche sacrosanta responsabilità, ma è pur vero che il nuovo capitolo su Matador, b'lieve i'm goin down... (tutto rigorosamente in minuscolo, quasi a ribadire l'aria dimessa del personaggio) fa un passo in avanti verso una forma canzone più contenuta, senza le fughe psichedeliche e le estenuanti cavalcate del passato.

Facile etichettarlo come l'album intimista della sua produzione (o quello della maturità, fate voi), giunta oggi alla sesta uscita ufficiale, eppure c'è qualcosa di più celato fra queste canzoni: mantengono quella tensione sospesa, quell'aria un po' imbambolata e ossessiva che traspare dalla sua musica, ma al tempo stesso cercano insistentemente la melodia, potremmo anche affermare che si tratti di un passaggio verso una personale versione della canzone rock d'autore. I testi restano ancora confusi e affascinanti, a volte chiusi in se stessi, altri aperti a trip "onirici", nella migliore tradizione psichedelica da cui Vile attinge a piene mani, tuttavia l'uso più presente del piano, un certo sforzo nel dosare l'emotività della band (Violators, aperti come sempre a diversi contributi) rendono b'lieve i'm goin down… uno di quei dischi che crescono sulla distanza. In prima battuta ci ero cascato di nuovo, pensando che l'inizio invitante di Pretty Pimpin, il brano più pop e trascinante scritto sino ad oggi da Vile, fosse l'annuncio di una svolta in seguito tradita dal resto della scaletta.

Usciti infatti dallo straniante country rock in chiave desertica di I'm an Outlaw, che piacerebbe tanto ai musicisti di Tucson e dintorni (Howe Gelb, quasi certo che Vile ne abbia sentito parlare...) e dal più insinuante serpeggiare pop rock con echi sixties di Dust Bunnies (nel testo anche una sorta di subdola citazione da Sam Cooke), Kurt Vile sceglie di acquietarsi ad ogni passo. Entra in gioco quella sorta di laid-back intontito in chiave personalissima, che il chitarrista modella sulle note della sua chitarra: qui occorre un poco di pazienza per farsi rapire, ma la scheletrica trama di Wheelhouse, l'arpeggiare di All in a Daze Work e Kidding Around, o ancora Stand Inside, con un dialogo spesso insistente fra piano e chitarra, dispiegano un fascino che ci chiede di sprofondare insieme a Kurt Vile. E infine appare il ritmo più spezzato, frammentario di Life Like This e Lost my Head There, dove la dimensione melodica tutta sbilenca, approssimativa di Vile si intreccia al talkin' di Lou Reed e cerca persino una sua definizione di canzone pop. L'impressione è che al prossimo disco diventerà un "classico": ci rimarranno male gli adepti della prima ora, ma forse guadagneremo presto un autore di serie A.


    


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