Arthur Buck
Arthur Buck
[New West/ Self
2018]

arthurbuckmusic.com

File Under: electro rock

di Fabio Cerbone (09/07/2018)

Spalla contro spalla, due amici, due musicisti che si stimano da tempo e che hanno spesso incrociato i loro destini artistici. Potenzialmente una delle collaborazioni più interessanti per chi guarda ancora con affetto a quella intensa generazione nata negli anni del post punk (Peter Buck) e a quei songwriter che ne hanno traghettato il linguaggio nel nuovo millennio (Joseph Arthur). Arthur Buck e le sue undici lunatiche canzoni è l'esito di questo incontro, esordio in casa New West di cui non possiamo prevedere un seguito, vista l'inclinazione sempre un po' ondivaga degli stessi protagonisti.

Allo stato delle cose resta un'occasione mancata, una confusa fotografia di suoni che al fondo appare più come un disco di Joseph Arthur, quello più attento alle pulsioni rock e alle loro contaminazioni elettroniche, e meno un'invenzione di Peter Buck, che sorregge i brani con i suoi spunti chitarristici, lascia certamente un'impronta sonora eppure si trattiene dagli arrangiamenti e dalla produzione, guarda caso firmata dal solo Arthur. L'idea nasce in Messico, sulla spiaggia di Todos Santos, dove da diversi anni Buck ha una seconda casa, un luogo in cui rifugiarsi. La chiamata all'amico Joseph Arthur arriva quasi per caso, un fine settimana per rilassarsi nelle acque dell'oceano. Diventano quattro giorni di canzoni condivise, riff di chitarra da scambiarsi e dai quali scaturiscono otto nuove composizioni, poi completate nei Type Foundry Studios di Portland, soltanto i due protagonisti a maneggiare ogni cosa. Arthur prende il timone della parte ritmica, "imbratta" i brani di percussioni, loop, sintetizzatori, mentre Buck arrotonda e abbellisce fra acustiche ed elettriche.

Le vibrazioni sono positive, a cominciare dall'apripistra I Am the Moment, liriche pungenti e brillanti come ci si aspetterebbe da entrambi i musistici (e soprattutto da Joseph Arthur), che sembrano cercare uno spiraglio di luce in un mondo alla deriva (il primo singolo Are You Electrified?), ma allo stesso tempo una musica che aggiunge strati su strati di melodie pop e intrecci rock sintetici senza trovare il bandolo della matassa. Tutto già sentito (e meglio) nei dischi solisti di Arthur, canzoni che catturano per un istante, perdendosi il secondo dopo, senza lasciare l'impressione di una vera epifania fra i due amici. Spiccano comunque le ballate, i ritmi più rallentati e un po' psichedelici di The Wanderer e della conclusiva Can't Make It Without You, quelli dilatati e un poco impalpabili della breve Summertime, o ancora Forever Falling e le venature sixties di Wide Awake In November; si dissolvono senza grandi sussulti invece le fredde pulsazioni elettroniche di If You Wake Up In Time e Before Your Love Is Gone, o la caotica e politica messinscena di American Century.

Spontanea fino ad un certo punto, la collaborazione sorta fra Peter Buck e Joseph Arthur richiedeva forse una veste sonora più contenuta per fare emergere davvero la natura di questi brani.


    


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