RVG
Feral

[Fire records 2020]

rvgband.com

File Under: jangle pop fever

di Fabio Cerbone (10/06/2020)

Feral: ferino, selvaggio come una bestia, come può esserlo anche, soprattutto il rock’n’roll, sebbene qui tradotto in una musica che si fa a tratti più estatica, sospesa fra schiette pulsioni garage e luccicanti intrecci pop chitarristici. È la tradizione di una terra lontana, che continua ad offrirsi alla causa di chi sa far collidere elettricità e sentimento: gli australiani non deludono mai, sanno in che direzione si è mossa la storia del loro underground musicale e ne portano avanti la lezione con rinnovata energia. È il caso della creatura RVG, abbreviazione che sta per Romy Vager Groug, dall’idea nata intorno alla vocalist e autrice transgender del gruppo, formatosi nel 2015 nei sobborghi di Melbourne e presto arrivato alle attenzioni internazionali dell’americana Fire records.

L’album che ha fatto da apripista è A Quality of Mercy del 2017, inciso dal vivo in un piccolo club locale, senza pubblico ma conservando il sentimento e l’intesa immediata di un’esibizione live, forse l’approccio più interessante per le radici stesse della band. Feral giunge a due anni di distanza confermando le qualità del quartetto, lì dove la produzione in studio di Victor Van Vugt (già al lavoro con Nick Cave e PJ Harvey) concede qualche lustrino in più, giusto uno scintillio che non cancella tuttavia l’attacco rock essenziale della formazione, annunciato dall’incalzante Alexandra. Tutto si coalizza - dalla trascinante voce di Romy, carismatica e inusuale nel timbro, al misurato vortice di chitarre e sezione ritmica - nella direzione dei grandi maestri dell’aussie rock sorti negli anni Ottanta: si legge in controluce quel passaggio eccitante dalla stagione post punk alla riscoperta dei suoni della psichedelia e del folk elettrico, che si sarebbe tradotto in strani, eccitanti ibridi chiamati curiosamente college rock e jangle pop, nient’altro che comode sigle per riassumere un’estetica musicale che accomunava terre lontane, da Athens a Sidney, da Los Angeles a Melbourne. Asteroid, Christian Neurosurgeon, l’arrembante Little Sharky & The White Pointer Sisters, il volteggiare di Help Somebody fluttuano tra riverberi e melodie figlie legittime di Go-Betweens, Sunnyboys, Church, un’intera generazione di rock’n’roll band che hanno saputo unire nella loro musica passato e presente, intelligenza e rapimento.

Un po’ lo stesso effetto scaturisce dai suoni e dalle parole degli RVG: Romy Vager affronta queste canzoni come una catarsi, afferma il lancio promozionale del disco, e tra personale e universale tocca temi politici ma anche frustrazioni e incitamenti che nascono dal profondo del suo vissuto, condizione che la pone inevitabilmente in contrasto con quel mondo incapace di accettarla. L’insieme si traduce in una musica che possiede lo scatto dell’epica ma anche della confessione più intima: un senso di abbandono e disperazione risale le volute di una ballata rock quale I Used to Love You, mentre il guitar pop raggiante della band esplode letteralmente in Prima Donna e nelle movenze, ferine è il caso di dirlo, di Perfect Day. Unico episodio che sembra dilatare il vigore del loro suono, molto uniforme nell’esposizione di tutto l’album, è proprio la chiusura di Photograph, sette minuti e passa di potenza ed enfasi trattenuta che monta fino alla liberazione finale.


   


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