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Lankum
False Lankum
[Rough Trade 2023]

Sulla rete: lankumdublin.com

File Under: drone folk


di Fabio Cerbone (15/04/2023)

Alternanza di buio e luce, spesso senza soluzioni di continuità tra un brano e l’altro, come si trattasse di un unico misterioso magnete musicale, il quarto album del quartetto irlandese ribadisce l’integrità artistica e l’inflessibile ricerca sonora che li guida fin dai loro esordi. Neppure il maggiore successo di pubblico e di critica (un RTE Choice Music Prize nel 2020, sorta di Grammy d’Irlanda) del precedente The Livelong Day, di fatto l’album della svolta internazionale per il gruppo, ha scalfito la superficie granitica del loro suono. Viaggio onirico e scuro compiuto sul corpo vivo della tradizione folk, quella dei Lankum è una proposta artistica che spinge la cosiddetta tradizione ai limiti, ne mette alla prova la resistenza nel tempo e nella storia, per restituirne un’immagine per nulla artefatta e museale, semmai viva, disturbante, in continuo conflitto con il presente.

Nelle note di presentazione di False Lankum (anche il titolo sembra giocare su alcune “contraddizioni” insite nella loro arte sperimentale) si parla di un superamento o distacco dal passato folk: ci permettiamo di dissentire, perché l’introduzione con gli otto minuti stranianti di Go Dig My Grave, rielaborazione di una antica murder ballad “incentrata sull’emozione del lutto”, come afferma la stessa voce femminile della band, Radie Peat, è invece la dimostrazione di un costante rapporto con l’eredità folk, tanto da portare in dote otto traditional su dieci episodi totali, a comporre la scaletta dell’album. Quello che interessa ai fratelli Ian e Daragh Lynch, insieme alla citata Peat e Cormac MacDiarmada è piuttosto ritrovare in quel lascito un senso di arcano ed eternità che possa rendere la loro musica fuori del tempo. Ci riescono con un’opera persino più “alienante” e a tratti impenetrabile della precedente, non facendo sconti a nessuno.

Non bastasse l’incedere di Go Dig My Grave e la sua straniante coda finale, si aggiungono gli avvicendamenti fra delicatezze acustiche e drone music, cacofonie sinistre e malinconie folk che compongono l’andatura austera dell’intero False Lakum, dalla rarefazione di Clear Away in the Morning, ballata da alba nella radura irlandese, al trascinante irish reel per concertine e violino di Master Crowley’s. Due strumentali, Fugue I e II, tengono alta la tensione e confermano il tono di avanguardia che sprona i Lankum a impossessarsi con ferocia della memoria musicale su cui proiettano le loro interpretazioni. I momenti di luminosità a cui si accennava in apertura servono proprio a stemperare questa “crudeltà” sonora, qui magicamente riassunti nelle riletture di Newcastle e Lord Abore and Mary Flynn, tra le più evocative tracce, anche da un punto di vista vocale, nel rimpallo tra i fratelli Lynch e Radie Peat, mentre l’altro volto del gruppo è rappresentato dai tre tempi in cui appare suddivisa la marcia funerea di The New York Trader, trafitta da uno spiazzante lavorio di strumenti tradizionali e voci, e più ancora dai soli due episodi originali firmati dai Lankum, Netta Persus e gli oltre dodici minuti della chiusura con The Turn, autentico tour de force che si dispiega in un primo spirituale canto, poi gradualmente sfaldato in una coda rumoristica che scuote l’ascolto fin quasi a un senso di ripulsa.

Pochissime band attualmente sembrano agire con questa intensità, anche provocatoria, sulla materia folk. Indispensabili.


    


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