Che potenzialmente fosse in grado di partorire un disco dalla bellezza abbagliante
quanto questo Bright Sunny South, lo si poteva anche intuire. I
due precedenti, gli acclamati (dalla critica à la page) All is Well e I See the
Sign, contenevano sufficienti sprazzi di sublime per farci sperare che prima o
poi Sam Amidon ci avrebbe dato un'opera come questa. E, come spesso accade,
la via per giungere al cuore pulsante della propria espressività è stata quella
della semplificazione. In All is Well, e soprattutto in I See the Sign - arrangiato
dal compositore di estrazione classica Nico Muhly e frutto della collaborazione
tra Amidon e sua moglie Beth Orton - la ricerca formale avvolgeva la purezza folk
delle melodie nelle spirali di una musica da camera punteggiata di tessiture elettroniche,
trovando una sorta di punto di convergenza tra le radici appalachiane di Amidon,
l'umbratilità di Nick Drake e il postmodernismo folk di Sufjan Stevens.
Nel
nuovo disco tutto pare coagularsi con più naturalezza, domina principalmente una
dimensione acustica in cui, attorno allo sdrucciolare degli accordi della chitarra
e del banjo di Amidon, lumeggiano i palpiti sofferti dei fiati (la tromba del
jazzista avantgarde Kenny Wheeler bagna di lunare malinconia la sincope
bucolica di I Wish I Wish, mentre un flauto
asseconda la frantumazione quasi blues di Pharaoh),
minimali accordi di piano, brevi fraseggi di trattenuta elettricità (My
Old Friend), qualche affondo di organo e di fiddle (come nella gotica
Short Life). C'è anche spazio per un breve,
intenso e sfasante momento di caos elettrico, quasi post-rock (roba nella quale
Nels Cline sguazzerebbe felice) in coda a He's Taken My Feet. Tutto suona
meno compresso che in passato, meno affollato: il segreto è lasciare respirare
gli strumenti. E la voce, naturalmente. Il centro di gravità intorno a cui tutto
ruota è infatti il timbro di Amidon, uno strumento di quelli rari, in grado di
distillare dalle parole significati profondi, ancestrali - ascoltate la sciamanica
As I Roved Out e capirete cosa intendo.
Spesso
Amidon si serve di una linea melodica conosciuta per rivoltarla e trasfigurarla
fino a renderla irriconoscibile, sia che si tratti di un traditional folk o di
una improbabile cover pop (non è un vizio nuovo, questo: in passato aveva rifatto
R. Kelly, qua troviamo un brano dal repertorio di Mariah Carey - provate a riconoscerlo,
se ci riuscite). Sarà forse una conseguenza del trasloco nella vecchia Inghilterra,
dopo il matrimonio con la Orton, ma il cotè modernista, indie-folk, di Amidon
è stato messo da parte, almeno per il momento; i debiti con l'onnipresente Nick
Drake sono sempre evidenti, ma un disco come Bright Sunny South sembra soprattutto
cercare una via per entrare in comunicazione con i grandi intarsiatori del folk-rock
intriso di vibrazioni jazz e tentazioni cosmiche, come Tim Buckley e John Martyn.
Una via che lo rende forse un po' meno cool, ma molto molto intenso. Un'opera
preziosa e fuori dal tempo. Un difetto? E' un po' che non lo penso di un disco,
ma in questo caso 35 minuti mi sono sembrati pochi.