Ama le parentesi M.G. Boulter. Le mette ovunque, ci contiene il suo nome
in copertina, quello dei musicisti che lo seguono, i titoli delle canzoni e in
modo più figurato anche la sua musica. Perché anche la sua carriera musicale è
una parentesi tra l'attività di addetto alla pedal steel nella ditta dei Felice
Brothers e quella di frontman dei Lucky Strikes (li avevamo segnalati nel 2011
per il disco Gabriel, Forgive My 22 Sins), ma The Water Or The Wave,
suo terzo album dopo l'omonimo del 2008 e The Whispering Pines dello scorso anno,
ha tutta l'aria di essere l'inizio di un percorso più serio e duraturo. Peccato
però che questi undici brani, ineccepibili per forma e spesso anche per sostanza
(interessanti alcuni testi), arrivino davvero tardi, quando gli stessi Felice
Brothers si sono già arenati in un cambio di suono che ne ha frenato l'ascesa
verso la serie A, e quando sempre da quelle parti Simone Felice ha già proposto
dischi molto simili ma ben più importanti sotto il nickname di The Duke And The
King.
Roots-folk sofferto e strascicato, uso molto melodico della voce,
il controcanto di Lizzy O'Connor piazzato un po' ovunque a dare quel tocco alla
Belle and Sebastian che serve per strizzare l'occhio al mondo dell'indie-folk:
Boulter mette in campo tutti gli strumenti a lui noti, concentrando nella prima
parte del disco quei brani che catturano l'attenzione se ascoltati singolarmente
(soprattutto Gold King), perfetti per un giro
su YouTube o Spotify, ma che messi in un insieme che noi vecchia generazione ci
ostiniamo a chiamare "disco", finiscono a dar vita ad una creatura a volte stanca
e ripetitiva. E' comunque un album da ascoltare The Water or The Wave, magari
a spizzichi e bocconi, giusto per non tediarsi troppo per episodi come The
Thistles & The Thorns o Mountain Sickness e meglio apprezzare una Above
The Cafè Curtain che sembra uscita da uno dei dischi del Bonnie Prince
Billy più addomesticato al country.
Fortuna comunque che l'uomo ha il
dono della sintesi (36 minuti e via, cioè l'intelligenza di capire quando si è
già detto abbastanza…), e che la scaletta ha episodi ma non lunghi periodi di
stanca, per cui si arriva alla fine contenti di trovare all'alba della traccia
nove un pezzo che potremmo (con buon coraggio) definire allegro e baldanzoso come
Confetti Hearts che rompe finalmente il ritmo
sofferto dell'album. In ogni caso talento e ragione di essere come artista solista
sono confermati anche da brani quali Think You Free Mary,
che stanno in piedi anche se scarni e acustici. Ma i grandi artisti sanno
già andare oltre questo livello: se ne ricordi quando ci vorrà riprovare.