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Where are we now? di
Nicola Gervasini (15/02/2013)
Che
ci fa David Bowie su Rootshighway? Tranquilli, nessun ritorno in tinte
roots per il Duca Bianco: The Next Day, già celebratissimo comeback
dopo dieci anni di silenzio e preoccupanti rumours di malattie e invalidità varie,
è un Bowie-record al 100%. E probabilmente tanta attesa era davvero solo dovuta
al fatto che David si deve essere spaventato quando con Reality ha prodotto il
suo unico disco né brutto né bello, ma semplicemente inutile (come vorremmo che
una simile paura attanagliasse anche altri suoi colleghi e coetanei!). Se oggi
ne parliamo anche su queste pagine è solo perché The Next Day, oltre ad essere
innegabilmente un disco di gran spessore e per questo necessario (anche se è ancora
troppo presto per definirne un peso specifico all'interno dell'opera bowiana),
è anche un album che in qualche modo potrebbe aiutare a chiudere il cerchio di
una maturazione dell'ascoltatore rock italiano.
Vorremmo sperare sia finito
il tempo in cui chi ascoltava Springsteen vedeva Bowie come il nemico (e viceversa),
e se nel 1984 era effettivamente difficile per chi professava il verbo del rock
da strada e delle radici trovare sostanziali differenze tra Tonight di Bowie e
Arena dei Duran Duran (mentre quelle con i dischi dei Del Fuegos, Green On Red
o Husker Du apparivano lampanti), oggi in The Next Day ritroviamo magicamente
tutto. Non è rock delle radici, semplicemente perché Bowie è lo sradicato per
eccellenza, capace di far nascere fiori colorati da qualsiasi humus gli capiti
sotto le mani. Delle canzoni di The Next Day ve ne parleranno in tanti e anche
più dettagliatamente, ci sono i richiami al glam rock che fu di (You
Set) the World on Fire, i riffoni alla Tin Machine seconda edizione
di The Stars (Are Out Tonight), il pop sintetico
di If You Can't See Me, le spigolature alla
Scary Monsters della title-track e tanto tanto altro, compresa lo straordinaria
Where Are We Now? che sembra una riposta
a Thursday's child, il suo ultimo grande singolo.
Quattordici brani (diciassette
nella consigliata edizione deluxe) che mancavano alla sua discografia, e già solo
questo è il più grande successo. Ma soprattutto la capacità di usare un linguaggio
rock davvero universale, dove il marchio di fabbrica può piacere o no, ma a sessantasei
anni David dimostra di essere l'unica rockstar che ha davvero capito che il futuro
è un unico calderone dove le nicchie stilistiche continueranno ad esistere solo
in funzione della possibilità di unirsi e mischiarsi tra loro. Per questo The
Next Day è un disco importante anche per queste pagine, perché siamo già
sicuri che da qui partiranno anche molti artisti appartenenti al mondo della canzone
americana. Poi a voi la scelta se amarlo, farvelo solo piacere o detestarlo: sicuramente
sarà impossibile ignorarlo.