Paul Buchanan
Mid Air
[Newsroom Records
2012]

www.paulbuchanan.com


File Under: fragments of a rainy season

di Gianfranco Callieri (10/07/2012)

C'è un'arte, segreta, elusiva e riposta, che non saprei come chiamare se non dei dischi fatti - diciamo così - senza altro traguardo al di là dell'intenzione di fissare un'impressione, catturare un momento. Lo scozzese Paul Buchanan, alla guida dei suoi Blue Nile e, oggi, in questo debutto solista significativamente intitolato Mid Air, "a mezz'aria", di questa arte è uno dei poeti più autorevoli: lo è stato con le dense, opache trame synth-pop del vecchio gruppo (quattro dischi in vent'anni e un seguito di culto germinato in Rickie Lee Jones, che li volle con sé per il tour di Flying Cowboys, come nel nostrano Zucchero) e lo è oggi più che mai con un nuovo album composto di quattordici canzoni, ma sarebbe meglio dire "embrioni", fatte soltanto di voce, pianoforte e qualche accenno di samples - archi e trombe soprattutto - del tutto sprovvisti di arrangiamento che ricordano la sofferta nudità di Nick Drake e il John Cale più solitario e introverso.

Non troverete, tra le pieghe di Mid Air, la forza eversiva dei lavori dei Blue Nile, la qualità pittorica di brani dove l'assenza di enfasi e chitarre finiva per circoscrivere un inconfondibile panorama notturno di silenzi e sospiri elettronici (cruciale tanto per i Talk Talk più sperimentali, quelli cioè di Spirit Of Eden e Laughing Stock, quanto per la fase centrale dei Radiohead e gli sviluppi del primo post-rock). Inalterata, tuttavia, è l'eleganza del sussurro, l'arco di sfumature affidate a respiri sempre più flebili, la fragilità eroica di uno spirito alla ricerca di risonanze interiori sintonizzate sulla struggente lunghezza d'onda del minimalismo mistico di un Erik Satie (ma si potrebbero citare anche le melodie galleggianti sull'acqua di un Claude Debussy o le "composizioni per orchestra senza musica" di Maurice Ravel). Ascoltando il susseguirsi di malinconie che attraversa senza sosta il lirismo impossibile di My True Country o i plumbei fraseggi pianistici di Newsroom e Cars In The Garden, il jazz raggelato di I Remember You o la delicatissima intrusione strumentale di Fin De Siècle, sembra di camminare sotto una pioggia quasi astratta di ricordi e sensazioni distanti. Più che a un disco, Mid Air assomiglia a una visione, a un incantesimo in cui il protagonista della title-track, sopraffatto dal desiderio di guardare per sempre la propria amata "volteggiare a mezz'aria", arriva alle conclusioni amare di After Dark ("Life goes by / And you learn / How to watch / Your bridges burn") nello spazio di uno sguardo, di un bacio sepolto nella memoria, di un sorriso sbiadito o di un cappotto spiegazzato.

Era impensabile, visti i precedenti, che Buchanan approdasse a qualcosa di diverso da Mid Air, uno di quei rari album talmente basati sull'immaginario, e sull'immaginazione, da richiedere all'ascoltatore lo sforzo di riempire tutte le pause e le parentesi vuote: come se ci trovassimo di fronte alla colonna sonora di un film muto, in attesa del nostro spleen per sopperire alla vedovanza dalle immagini. Ma se mai avete avuto una notte storta, una vecchia giacca intrisa del profumo di una storia d'amore, un luogo dell'anima scolorito nelle pieghe dei pensieri, una bevuta necessaria a schiarirvi la mente o un vagabondaggio per le strade vuote della città, in bilico tra la realtà e il sogno, sappiate che nelle sinfonie impressioniste di Mid Air, con tutta la tristezza e la solennità discreta delle sinfonie, vi aspettano per un ultimo, imprescindibile rendez-vous.


    


<Credits>