The dB's
Falling Off the Sky
[Blue Rose
2012]

www.thedbsonline.net


File Under: power pop, cult-bands

di Nicola Gervasini (16/07/2012)

Essere una band di culto comporta delle responsabilità, prima tra tutte quella di ponderare bene le reunion per non infangare il mito. Lo sanno bene i Feelies, forti di una recente rimpatriata che, senza aver fatto faville discografiche, ha almeno ribadito la loro importanza e influenza sulle giovani generazioni, e ora ci ritentano anche i dB's, mitico combo titolare di quattro album dispersi negli anni 80. Non è la prima volta che ci riprovano: nel 1994 il solo Holsapple, forte di notorietà acquisita come quinto REM onorario, diede alle stampe l'ignorato e dimenticato Paris Avenue, mentre nel 2006, con line-up originale, la sigla venne spesa per Christmas Time Again, sorta di party-album natalizio con amici vecchi e nuovi (Alex Chilton e Ryan Adams i più altisonanti).

Giusto dunque che Falling Off The Sky venga presentato come il vero ritorno della band, nuovamente gravitante intorno al genio pop di Peter Holsapple e del compare Chris Stamey, uno che nel frattempo ha condotto una discreta carriera solista e una ben più brillante attività di produttore (la scoperta dei Whiskeytown di Faithless Street resta il suo colpo maggiore, ma la sua attività di talent-scount sta continuando con buoni nomi come Otis Gibbs o American Acquarium). Completano la formazione Will Rigby e Gene Holder, la stessa pulsante sezione ritmica che nel 1981 diede alle stampe Stands For Decibel, disco seminale del power-pop anni 80, più o meno lo stesso risultato che avreste ottenuto mettendo Elvis Costello a capo dei REM (con cui condividano il qui presente produttore Scott Litt e l'etichetta, la mitica IRS). Tutto come allora dunque, come se non fossero passati venticinque anni dall'arrivederci del 1987, grazie anche al convincente uno-due iniziale di That Time Is Gone con le sue chitarre taglienti e Before We Were Born con il suo irresistibile ritornello, brani perfetti nati per ribadire chi può a ben diritto dirsi padrone di un suono oggi ancora abusato.

Peccato che poi gli anni, e forse anche la scafata scaltrezza da professionisti dei due titolari, alla fine prevalga nel proseguo dell'album, con una serie di brani finemente costruiti a cui manca però quel nervosismo e quella elettricità che rendeva le "canzonette" di album come l'irrinunciabile Repercussion delle vere iniezioni di adrenalina. C'è grande know-how dunque negli arrangiamenti d'archi di Far Away and Long Ago (anche se spero che abbiano inviato le royalties a Paul McCartney), non c'è nulla da eccepire nella costruzione di World To Cry o quando provano a rivivere i garage-days di fine anni settanta con le psycho-trame di The Adventures of Albatross and Doggerel, probabilmente l'avventura stilistica più interessante del disco. Ma alla fine il tutto non gira con la stessa scioltezza di un tempo, e episodi come Write Back o la Beach Boys-like I Didn't Mean To Say That semplicemente si perdono nello stereo anche dopo ripetuti ascolti. Resta la classe e il sound, e non è poco, ma non abbastanza perchè il culto per le loro opere si espanda anche fino a questo atteso come-back.


    


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