The Drones
I See Seaweed
[MGM 2013
]

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File Under: bloody dark blues

di Fabio Cerbone (10/04/2013)

Il mistero della migliore rock'n'roll band australiana degli ultimi dieci anni sta forse per essere svelato al mondo: The Drones hanno infatti messo a segno un colpo eccezionale a seguito della pubblicazone di I See Seaweed, quinto lavoro del gruppo di Melbourne, imbarcandosi come spalla nello storico tour australiano di Neil Young & The Crazy Horse e aprendosi persino una breccia nelle classifiche nazionali. Quest'ultimo dato suona quasi come un affronto, perché nulla di queste nove lancinanti litanie tra blues desertico e ballate rock catatriche ha il piglio di una musica accomodante, per tutte le stagioni e per tutti i pubblici. Eppure da quelle parti devono essere abituati e ben altra "mercanzia" elettrica per farsi frenare da una semplcie apparenza: la terra dei Bad Seeds e degli Scientists, dei Beasts of Bourbon e dei Radio Birdman ha sempre avuto qualcosa in più da offrire.

Questi nomi non sono citati a caso perché I See Seaweed e i Drones stessi sono l'ultimo anello di una catena che parte da lontano e si lascia trascinare in un turbine di chitarre graffiate e sguaiate urla che sono la struttura portante di un modo di vivere e leggere il rock'n'roll. Disco inquietante, verboso e intensissimo, l'ultima opera di Gareth Liddiard, Fiona Kitschin, Dan Luscombe e Michael Noga mette a segno una sorta di brutale colonna sonora per accompagnare la selvaggia natura dell'esistenza umana: con l'aggiunta essenziale del nuovo arrivato, il pianista Steve Hesketh, The Drones accentuano i pieni e i vuoti della loro minacciosa, apocalittica musica, toccando probabilmente il vertice del linguaggio sino ad oggi sviluppato. È tutto nelle torsioni pestifere dellla title track il senso del songwriting di Gareth Liddiard, autore eccezionale nel suo flusso di coscienza, un poco figlio di Nick Cave (e chi si dovesse sentire orfano di quest'ultimo, oggi più che mai riflessivo e maturo, potrebbe nei Drones rivivere invece cacofonie blues dimenticate) e un poco predicatore solitario abbandonato agli alti e bassi della band.

Questi ultimi vivono da una parte degli stridori e scricchiolii di Dan Luscombe, dall'altra dell'armonicità nascosta del citati Steve Hesketh: le due anime cozzano fra di loro e sputano How to see Through Fog, dilatandosi poi in The'll Kill You, prima di un estenuante inedito finale in Why Write a Letter That You'l Never Send, tour de force per le esternazioni in parole di Liddiard sul quale la band sviluppa un lungo gemito blues. E che tale blues sia inteso come condizione dlel'anima, sia chiaro, e non tanto o non solo come genere: perché nelle contornsioni di Nine Eyes, nel deflagrare chitarristico della strepitosa The Grey Leader (da qualche parte fra Crazy Horse, Bas Seeds e Dream Syndicate) o nel crescendo epico, straziante di Laika (finale soprendente con l'intrecciarsi della voce femminile, angelica di Fiona Kitschin) non ci sono facili scappatoie e neppure tradizioni da rispettare, soltanto un mare in tempesta dove farsi trascinare aspettando l'ignoto. Grandissima band: probabilmente troppo oscuri e tormentati per piacere a tutti, ma in Australia se ne fregano delle regole.



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