Il
mistero della migliore rock'n'roll band australiana degli ultimi dieci anni sta
forse per essere svelato al mondo: The Drones hanno infatti messo a segno
un colpo eccezionale a seguito della pubblicazone di I See Seaweed,
quinto lavoro del gruppo di Melbourne, imbarcandosi come spalla nello storico
tour australiano di Neil Young & The Crazy Horse e aprendosi persino una breccia
nelle classifiche nazionali. Quest'ultimo dato suona quasi come un affronto, perché
nulla di queste nove lancinanti litanie tra blues desertico e ballate rock catatriche
ha il piglio di una musica accomodante, per tutte le stagioni e per tutti i pubblici.
Eppure da quelle parti devono essere abituati e ben altra "mercanzia" elettrica
per farsi frenare da una semplcie apparenza: la terra dei Bad Seeds e degli Scientists,
dei Beasts of Bourbon e dei Radio Birdman ha sempre avuto qualcosa in più da offrire.
Questi nomi non sono citati a caso perché I See Seaweed e i Drones stessi
sono l'ultimo anello di una catena che parte da lontano e si lascia trascinare
in un turbine di chitarre graffiate e sguaiate urla che sono la struttura portante
di un modo di vivere e leggere il rock'n'roll. Disco inquietante, verboso e intensissimo,
l'ultima opera di Gareth Liddiard, Fiona Kitschin, Dan Luscombe e Michael Noga
mette a segno una sorta di brutale colonna sonora per accompagnare la selvaggia
natura dell'esistenza umana: con l'aggiunta essenziale del nuovo arrivato, il
pianista Steve Hesketh, The Drones accentuano i pieni e i vuoti della loro minacciosa,
apocalittica musica, toccando probabilmente il vertice del linguaggio sino ad
oggi sviluppato. È tutto nelle torsioni pestifere dellla title track il senso
del songwriting di Gareth Liddiard, autore eccezionale nel suo flusso di
coscienza, un poco figlio di Nick Cave (e chi si dovesse sentire orfano di quest'ultimo,
oggi più che mai riflessivo e maturo, potrebbe nei Drones rivivere invece cacofonie
blues dimenticate) e un poco predicatore solitario abbandonato agli alti e bassi
della band.
Questi ultimi vivono da una parte degli stridori e scricchiolii
di Dan Luscombe, dall'altra dell'armonicità nascosta del citati Steve Hesketh:
le due anime cozzano fra di loro e sputano How to see
Through Fog, dilatandosi poi in The'll Kill
You, prima di un estenuante inedito finale in Why
Write a Letter That You'l Never Send, tour de force per le esternazioni
in parole di Liddiard sul quale la band sviluppa un lungo gemito blues. E che
tale blues sia inteso come condizione dlel'anima, sia chiaro, e non tanto o non
solo come genere: perché nelle contornsioni di Nine Eyes, nel deflagrare
chitarristico della strepitosa The Grey Leader
(da qualche parte fra Crazy Horse, Bas Seeds e Dream Syndicate) o nel crescendo
epico, straziante di Laika (finale soprendente
con l'intrecciarsi della voce femminile, angelica di Fiona Kitschin) non ci sono
facili scappatoie e neppure tradizioni da rispettare, soltanto un mare in tempesta
dove farsi trascinare aspettando l'ignoto. Grandissima band: probabilmente troppo
oscuri e tormentati per piacere a tutti, ma in Australia se ne fregano delle regole.