Endless
Boogie è uno dei più bei dischi di John Lee Hooker, pubblicato agli inizi degli
anni 70, periodo in cui il mitico bluesman aveva preso l'abitudine alla jam con
strafatti musicisti californiani che davano al suo spartano e anarchico boogie
un taglio psichedelico, ipnotico e lisergico. Endless Boogie è il nome
della band che ho il piacere di recensire, che ovviamente prende ispirazione da
quel seminale vinile, immagino consumato in probabili trip giovanili. Il sound
è presto detto: boogie rock psichedelico, un impasto di ZZ TOP, Canned Heat, Foghat,
garage rock alla Screaming Trees con sfumature southern heavy, il tutto condito
da quel mistico approccio underground newyorkese che rende, di fatto, la band
un culto che in questi giorni sta devastando in tour l'Australia dopo aver incenerito
l'Europa. Long Island è il titolo del disco uscito in questi mesi
del 2013, il terzo della loro carriera, superiore al già notevole Full House Head
del 2010, specialmente da un punto di vista della produzione e della cura del
suono.
Gli Endless Boogie sono Jesper Eklow (the "Governor") alla chitarra,
Paul Major ("Top Dollar") alla chitarra e voce, Mark Ohe ("Memories from
Reno") al basso e Harry Druzd alla batteria, in formazione classica e sufficiente
per creare un muro ipnotico e rozzo di riff acidi che ti assalgono alla gola,
per lasciare inizialmente senza respiro e alla fine in stato di trance l'ascoltatore.
Il disco parte con The Savagist, inquietante
già dal titolo, bestiale riff boogie, hard e acido, che ti mette subito spalle
al muro, undici minuti di cavalcata psichedelica, e un cantato da cella di sicurezza.
Il tempo di metabolizzare il primo trip che un secco 4/4 di batteria mette in
moto il secondo giro della morte, Taking Out the Trash,
prima chitarra che squarcia l'aria, basso che chiude lo stomaco e seconda chitarra
che ricama con tagliente piglio Skynyrdiano, voce sempre al limite della carta
vetrata e giù a correre per le praterie del boogierock. The
Artemus Ward ci porta per mano nel girone dantesco dei lussuriosi:
sempre ipnotico il giro di basso che acchiappa per le corna il morbido gioco rullante-charleston
per un giro in LSD con il resto della ciurma.
Imprecations
è il mio brano preferito, mi porta alla memoria quei fantastici pezzi che Mark
Lanegan e i fratelli Lee Conner suonavano venti anni fa, una fantastica cavalcata
di wah wah e qualche variazione di accordi (un'eccezione per la band) per una
lunga e metafisica traccia rock psichedelica. Occult
Banker non cambia di una virgola il concetto: sempre riff ipnotico
di basso e prima chitarra e pedalare fino a raggiungere un trampolino dal quale
lanciarsi e trovarsi catapultati nelle stanze della santa inquisizione a subire
con On Cryology (l'unico pezzo strumentale...
di oltre 11 minuti) una tortura fisica con ghiaccio a lenire e anestetizzare le
ferite. Chiudono il trip General Admission
, ancora wah wah acido e hardboogierock, in stile George Thorogood incazzato,
e The Montgomery Manuscript, ulteriore e conclusivo
viaggio di 14 minuti nelle monadi dello space rock, con la voce del capelluto
vocalist recitante la preghiera del sabba lisergico che chiude la danza. Inaspettato
e piacevolissimo dischetto, underground di spessore, back line snella ma muscolosa
quella degli Endless Boogie, che grazie a Long island ci riportano a studiare
sui sacri testi del boogie rock psichedelico anni 70 con la tecnologia e l'ansia
del terzo millennio. Imperdibili.