Liz Green
O, Devotion!
[
Pias/ Self  
2012]

www.lizgreenmusic.co.uk
tinangelrecords.co.uk


File Under: British folk, songstress

di Emilio Mera (17/01/2012)

Ci sono voluti 5 anni per il suo esordio su album ma l'attesa é valsa la pena. Liz Green fu considerata dalla stampa specializzata inglese come la "next big thing" (Guardian e Observer) quando a soli 24 anni si rivelò al pubblico del Glastonbury Festival nel 2006 come "Migliore talento emergente" a cui seguì la pubblicazione del suo primo singolo "Bad Medicine". Iniziò a suonare incessantemente dal vivo e nel 2008 fu invitata da John Cale a suonare alla Royal Albert Hall per il tributo a Nico, confermando il suo talento. Nativa della campagna inglese del Merseyside, Liz imbraccia la chitarra in tenera età grazie all'educazione musicale impartita dal padre riuscendo negli anni a perfezionare la sua tecnica di fingerpicking. La bellezza di O, Devition! sta nella sua semplicità di fondo: sarebbe infatti stato facile aggiungere degli arrangiamenti orchestrali a 360°, invece di mantenere l'album su una strumentazione essenziale, ridotta all'osso e costruita su pochi accordi di chitarra ai quali si aggiungono trombe, tromboni, sax e altri strumenti come il violino, l'arpa e il kazoo.

Ai primi ascolti la raccolta trasmette le stesse emozioni di Pirate's Gospel di Alela Diane, con il quale condivide una somiglianza nel suo artwork disegnato dalla stessa Signora Green. Anche se nell'insieme l'album ha un sound molto "british", la sua varietà e originalità risiede nel mescolare le carte aggiungendo punte di vecchio jazz con un forte utilizzo di fiati (che possono ricordare le processioni funerarie di un vecchio quartiere di New Orleans), di cabaret berlinese con ombre del Tom Waits di Swordfishtrombones, anche se le sue influenze principali si riscontrano in figure fondamentali del folk inglese e americano come Karen Dalton, Vashti Bunyan, e nelle nuove songstress come Anais Mitchell, Laura Gibson e Laura Marling. L'album è stato registrato sotto la supervisione del produttore Liam Watson nei Toe Rag Studio di Hackney, conosciuto per il suo "equipment" analogico e low-fi (fu realizzato Elephant dei White Stripes) capace di dare quella purezza ed essenzialità di suono e di evidenziare ancora meglio l'intensa vocalità di Liz. Atmosfere spesso sognanti, quasi psichedeliche, bagnate dal fingerpicking leggiadro di Liz sono presenti in tutti i brani della raccolta, cominciando dall'iniziale Hey Joe capace di farti innamorare della sua voce dal timbro insolito a volte black, a volte melanconico arricchito da un trombone, una viola e una tromba dal sapore antico.

Si respira aria di jazz anni '20 in Midnight Blues con quel unico accordo, quasi ossessivo, che si ripete nella successiva Displacement Song (il suo secondo singolo) un waltz che sembra uscire da qualche fumosa cantina viennese alle 2 del mattino. La tristezza di fondo di Luis suona come un talking-blues capace di farti ubriacare grazie a quel fingerpicking pizzicato e quasi compulsivo, che deve molto all'insegnamento dei maestri del folk inglese come John Martyn e Nick Drake. Non manca l'ironia nei testi: come in Bad Medicine, con i suoni di un violoncello e di una tromba che rimbombano con grazia nelle orecchie. La pianistica French Singer rimanda alla tradizione di Edith Piaf, mentre la malinconica Ostrich Song è forse la ballad meno convincente del lotto. Rag & Bone e The Quiet ti avvolgono con la loro malinconia e tristezza, tanto quanto la conclusiva Gallows, intonata come un canto di dolore "a cappella" con un incedere trascinante, quasi solenne. Un disco conturbante e affascinante, capace di lasciare il segno nel cuore e nell'anima di chi lo ascolta con la dovuta attenzione.


   


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