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indie folk, new 'west coast sound' di
Fabio Cerbone (25/01/2013)
Ends
of the Earth potrebbe tranquillamente passare per un'outtake, e di
quelle particolarmente riuscite, dei Fleet Foxes: i timbri vocali accesi e celestiali,
le sovrappasizioni rimitche, quell'aria di folk rock che spira direttamente dalla
California di una stagione lontana. Il confronto è inevitabile e del tutto voluto,
diciamocelo, anche perché Lord Huron non fa nulla per nascondere un'eredità
stilistica che, sarà pure un caso, si accoda volentieri all'ultima esplosione
"westcoastiana" di questi anni. Quell'eterea mistura di tradizione acustica e
slanci indie pop colora ogni singola nota dell'esordio Lonesome Dreams,
progetto che concretizza due anni di tentativi solisti da parte di Ben Schneider,
voce e autore che si cela dietro la maschera.
Un paio di ep per prendere
le misure della sua scrittura, il richiamo di qualche vecchio amico dal Michigan
(luogo d'origine che Schneider ha lasciato alla volta di Los Angeles), l'idea
più compiuta di una band che ha i suoi punti di forza indiscutibili nelle percussioni
del polistrumentista Mark Barry (percussioni, voci) e nelle chitarre di Brett
Farkas e Tom Renaud. Fermo restando che il vero luccichio di Lonesome Dreams rimangono
i suoi giochi vocali, quella insistenza quasi irritante su riverberi e distanze
desertiche (il cowboy solitario in copertina d'altronde non compare a casaccio)
che imboccano una terza via fra vaghi riflessi Americana e una forma di ballata
pop incantata. Prendete dunque i Lord Huron come una versione sofisticata e al
tempo stesso corretta al ribasso dei My Morning Jacket: le visioni tradizionaliste
di Time to Run e She
Lit a Fire, l'intenzione folk di The Ghost
on the Shore, per non parlare dello scintillio vagamente country di
I Will Be Back One day sguazzano nelle stesse
acque, bagnandosi però ad una fonte ormai prosciugata.
È il capo di imputazione
più grande da smontare per Lord Huron, che possiede in sé virtù musicali non indifferenti,
una grazia di arrangiamento indiscutibile, ma riflette anche una dipendenza stilistica
troppo evidente. Schneider, giramondo che ha studiato a Parigi e New York, prima
di tornare sulle sponde del Lake Huron in Michigan, nome che ha ispirato la nuova
creatura, infila luoghi e sensazioni accumulate nei suoi viaggi in canzoni trasparenti,
talvolta ammiccanti come il lussurioso pop di The Man
Who Lives Forever e la sinuosamente ritmica Brother (Last Ride)…riuscireste
a immaginare Paul Simon che si mette a capo dei citati Fleet Foxes? È questa costante
percezione di dejà vù, questa idea di inseguire un modello anziché una sua personale
interpretazione che genera il sospetto e la diffidenza verso un disco che possiede
un fascino un po' troppo artefatto.