I Am Kloot
Let It All In
[Shepherd Moon
2013]

www.iamkloot.com


File Under: pop di classe

di Gianuario Rivelli (22/02/2013)

Quando nel 2001, proprio mentre impazzava il trend new acoustic movement, gli I Am Kloot esordirono con Natural History era ineluttabile che venissero catalogati, a torto o a ragione, nella suddetta sigla. In realtà il tempo ha dimostrato come i tre di Manchester fossero fatti di un’altra pasta, non solo e non tanto per le sonorità, quanto per la consistenza, per nulla effimera e ben più solida di quella di altre band spuntate in quell’ambito e passate come meteore o poco più. John Bramwell (chitarra e voce), Peter Jobson (basso) e Andy Hargreaves (batteria) sono ormai ben dentro la loro seconda decade di carriera, forti di una personalità ben definita che rifugge mode e categorie per concentrarsi sul cesellare canzoni delicate ma mai mosce, eleganti ma mai snob. Il pop made in England è anche per loro la grande madre da cui tutto ha origine, ma I Am Kloot hanno saputo tracciare un loro percorso collaterale ai grandi giri e alle copertine, ma non per questo di livello inferiore. La dimostrazione, ennesima, è Let it All In, quinto disco di inediti prodotto dagli Elbow Craig Potter e Guy Garvey (già al loro fianco nel precedente Sky at Night) e notevole cocktail di ballate acustiche, pop raffinato e ambizioni orchestrali.

Si prenda il primo singolo Hold Back the Night che è il compendio di tutto ciò. Incedere lento e clima teso, cambia poi passo finchè non entrano pesantemente gli archi a creare un quasi da colonna sonora cinematografica. Tuttavia una certa drammaticità iniziale (propria anche nell’inziale Bullets, malinconia su sfondo blues con squarci elettrici) viene stemperata dalle melodie ariose e spensierate di Mouth on me, Masquerade (con chitarra flamenca e armonie vocali westcoastiane) e della beatlesiana Some Better Day, tutte e tre saggi del gran gusto melodico che caratterizza il songwriting dei nostri. Impossibile poi non menzionare le ballate acustiche - altra specialità della casa - che luccicano di luce propria: la limpida Let Them All in, tanto semplice quanto perfetta, il romanticismo folk di Shoeless e la conclusiva Forgive These Reminders. Tornando alle ambizioni e agli sperimentalismi di cui sopra, il momento più bizzarro è senza dubbio These Days Are Mine: potremmo definirla un cosmic pop orchestrale con abbondante ricorso all’orchestra, sprazzi psichedelici e suggestioni orientaleggianti (compare anche un sitar) che creano un groove contagioso.

Dai tre di Manchester è difficile aspettarsi un capolavoro, ma un loro disco non lascia mai delusi o freddi. Let it All In non fa eccezione: perfettamente calibrato nella misura, nei toni e nella durata, nessun episodio da scartare, è l’ennesima conferma che nel panorama inglese, spesso ondivago e popolato da band con la data di scadenza, gli I Am Kloot sono una solida certezza. .


     


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