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cajun punk-blues di
Fabio Cerbone (23/02/2013)
Può
esistere, in un mondo parallelo, il cajun punk? Sulle rive dela lago di Ginevra,
l'ultimo posto dell'universo in cui ci saremmo messi a cercare, è nato qualcosa
di simile. Un trio sgangherato di ragazzi svizzeri ha messo insieme le radici
della Lousiana creola, il battito blues della strada e l'andamento scalcagnato
delle vecchie orchestrine jug, battendo tutti sul tempo con l'irruenza e il teppismo
di chi sembra uscito da qualche cantina newyorkese. Roots nella concezione, punk
nei suoni, Mama Rosin non conoscono la parola rispetto e in combutta con
un altro pirata del rock'n'roll più estremo, Jon Spencer, hanno dato forma
al loro disco più ambizioso e internazionale. Registrato presso gli Hed Analog
Studio di New York con la supervisione e la partecipazione diretta dello stesso
Spencer e del compagno di scorribande Matt Verta-Ray (Heavy Trash), Bye
Bye Bayou è un piatto speziato e irriverente, come ci si aspetterebbe
da un simile incontro.
Dopo cinque anni di esibizioni e incisioni (dal
2007 a oggi una cascata di album, compresi 45 giri ed ep per piccole etichette,
nel solco del rock'n'roll più oscuro), Robin Girod, Xavier Bray e Cyril Yeterian
fanno ora sul serio, ma senza organizzare troppo le idee: fedeli allo spirito
garage che li ha guidati sin qui, mescolano francese, inglese e linguaggio nonsense
in una rapida sequenza di lamenti che tritano a fette tradizione zydeco e cajun
con un rockabilly primitivo che riesce miracolosamente a suonare moderno. La concertina
è lo strumento guida del trio, inusuale e a suo modo esotico, anche se il gracchiare
delle chitarre e il battito grezzo dei tamburi non sono da meno: Marilou
pare uno strano gumbo andato a male nelle mani dei Cramps, Sorry
Ti Monde una versione francofona della Jon Spencer Blues Explosion
(la cui influenza è forte e chiara, se non si fosse capito), mentre Casse
Mes Objets si lancia in una danza diabolica sull'aia.
Il blues,
quello più paludoso di casa Fat Possum, rientra dalla porta di servizio e finisce
nell'ugola dei Mama Rosin, anche se la loro lettura del genere è troppo storta
e voodoo per non apparentarsi con una certa modernità: arrivano così le oblique
contorsioni psichedeliche di Black Samedi e
i ritmi scompaginati di Mama Don't (i Gun
Club in gita sul bayou?), anche se il piccolo gioiello si chiama Asssis
sur le Sommet du Monde ed altro non è che la versione francesce del
classico Sittin' on the Top of the World, dilatato nelle voci, sradicato e spiazzante.
Nel finale spunta un banjo e una vaga vena romantica e rurale (ma come la intenderebbe
Tom Waits) in I Don't Feel at Home, prima
che si torni a colpire il corpo morto della hillbilly music (un violino straniante
sullo sfondo) con Story of Love and Hate. Roba forte e senza guardare troppo
in faccia alle regole: se vi piace la tradizione presa a calci i Mama Rosin potrebbero
farvi saltare sulla sedia, altrimenti li troverete soltanto irritanti. Maneggiare
con cura.