Mazzy Star
Seasons of Your Day
[
Rhymes Of An Hour 2013]

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File Under: dream folk

di Fabio Cerbone (19/10/2013)

Incapsulati in un tempo indefinito, quasi a simboleggiare la forza stessa della loro musica, così avulsa dai giochi della modernità a tutti i costi, i Mazzy Star restano fedeli alla loro immagine, immutabili eppure mai imbrigliati in una semplice riproduzione della propria figura. Diciassette gli anni trascorsi da Among My Swan, ultimo vagito di studio prima dell'interruzione di quel sogno che aveva conquistato i cuori psichedelici degli ascoltatori rock. Non è una esattamente un fulmine a ciel sereno Seasons of Your Day, lo sanno i più informati, perché la voce di una reunion era qualcosa di più di una certezza: un primo singolo per tastare il terreno, un tour internazionale nel 2012, i segnali che Hope Sandoval e Dave Roback, da sempre l'anima del progetto, avevano ritrovato una strada comune, frugando nei cassetti di registrazioni e contributi durati più di un decennio.

Così ha preso forma Seasons of Your Day, puzzle di idee, bozze e serafiche ballate per la maggior parte di impianto acustico che ha occupato più continenti e più musicisti, recuperando persino il concreto ricordo di un compianto Bert Jansch, la cui chitarra serpeggia nel sinistro, denso blues intitolato Spoon. Dunque, cosa aggiunge davvero questo album alla formula dei Mazzy Star? Tutto e nulla verrebbe da rispondere, perché se è vero che il tempo del capolavoro So Tonight That I Might See è alle spalle, compreso il suo successo di culto e l'invenzione di un suono che ha fatto scuola, è altrettanto innegabile che Seasons of Your Day sia un disco di una classe e maturità impeccabile, il passaggio verso la saggezza del duo. Uguali a se stessi certo, ma differenti: sono i dettagli a cambiare prospettiva, non il portamento di Hope Sandoval, che canta ancora magnificamente sospesa, pigra e sognante. È semmai Roback a deviare un poco il registro, scoprendo, guarda un po', le radici e la tradizione, in un movimento verso il country blues, il folk più bucolico, che spesso risalta nella stesura dei nuovi brani.

L'accoppiata chitarra e organo di In The Kingdom farebbe pensare ad altro destino, un eleganza naturale per i Mazzy Star, ma già la scarnificazione acustica di California è un gesto che anticipa il contenuto più profondo dell'album. D'altronde qualcuno aveva forse intenzione di chiedere alla coppia un salto nel buio, quando la loro impronta stilistica è sempre stata così marcata fin dagli esordi? In cambio arrivano la slide, i tratti desertici e solitari di Does Someone Have Your Baby Now e Sparrow, una sorprendente cantilena western chiamata Lay Myself Down (c'è anche una pedal steel nelle mani di Stephen McCarthy dei Long Ryders) che pare lanciarli nei territori dei Cowboy Junkies, e ancora il dolcissimo saliscendi di I've Gotta Stop e l'etereo orizzonte di Common Burn spazzato dall'armonica nel finale. Nel mezzo del guado echi di ispirazioni lontane e mai celate, dal gioco cameristico di violino e glockenspiel della stessa Seasons of Your Day, che ritorna sui passi degli amati Velvet Underground e quei sette minuti e mezzo in coda, Flying Low, che rimuginano un blues lascivo e psichedelico in cui la voce della Sandoval va a nozze, accompagnandosi con un'armonica lacerante.

Un ritorno furtivo? Altri anni di oblio ci aspetteranno? Non è dato saperlo al momento, ma quello che è certo è che Seasons of Your Day non spreca una sola nota: come potrebbe essere altrimenti vista la proverbiale parsimonia musicale dei Mazzy Star.


    


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