Incapsulati in un tempo indefinito, quasi a simboleggiare la forza stessa della
loro musica, così avulsa dai giochi della modernità a tutti i costi, i Mazzy
Star restano fedeli alla loro immagine, immutabili eppure mai imbrigliati
in una semplice riproduzione della propria figura. Diciassette gli anni trascorsi
da Among My Swan, ultimo vagito di studio prima dell'interruzione di quel sogno
che aveva conquistato i cuori psichedelici degli ascoltatori rock. Non è una esattamente
un fulmine a ciel sereno Seasons of Your Day, lo sanno i più
informati, perché la voce di una reunion era qualcosa di più di una certezza:
un primo singolo per tastare il terreno, un tour internazionale nel 2012, i segnali
che Hope Sandoval e Dave Roback, da sempre l'anima del progetto, avevano ritrovato
una strada comune, frugando nei cassetti di registrazioni e contributi durati
più di un decennio.
Così ha preso forma Seasons of Your Day, puzzle di
idee, bozze e serafiche ballate per la maggior parte di impianto acustico che
ha occupato più continenti e più musicisti, recuperando persino il concreto ricordo
di un compianto Bert Jansch, la cui chitarra serpeggia nel sinistro, denso
blues intitolato Spoon. Dunque, cosa aggiunge
davvero questo album alla formula dei Mazzy Star? Tutto e nulla verrebbe da rispondere,
perché se è vero che il tempo del capolavoro So Tonight That I Might See è alle
spalle, compreso il suo successo di culto e l'invenzione di un suono che ha fatto
scuola, è altrettanto innegabile che Seasons of Your Day sia un disco di una classe
e maturità impeccabile, il passaggio verso la saggezza del duo. Uguali a se stessi
certo, ma differenti: sono i dettagli a cambiare prospettiva, non il portamento
di Hope Sandoval, che canta ancora magnificamente sospesa, pigra e sognante. È
semmai Roback a deviare un poco il registro, scoprendo, guarda un po', le radici
e la tradizione, in un movimento verso il country blues, il folk più bucolico,
che spesso risalta nella stesura dei nuovi brani.
L'accoppiata chitarra
e organo di In The Kingdom farebbe pensare
ad altro destino, un eleganza naturale per i Mazzy Star, ma già la scarnificazione
acustica di California è un gesto che anticipa
il contenuto più profondo dell'album. D'altronde qualcuno aveva forse intenzione
di chiedere alla coppia un salto nel buio, quando la loro impronta stilistica
è sempre stata così marcata fin dagli esordi? In cambio arrivano la slide, i tratti
desertici e solitari di Does Someone Have Your Baby Now
e Sparrow, una sorprendente cantilena western
chiamata Lay Myself Down (c'è anche una pedal
steel nelle mani di Stephen McCarthy dei Long Ryders) che pare lanciarli nei territori
dei Cowboy Junkies, e ancora il dolcissimo saliscendi di I've Gotta Stop
e l'etereo orizzonte di Common Burn spazzato
dall'armonica nel finale. Nel mezzo del guado echi di ispirazioni lontane e mai
celate, dal gioco cameristico di violino e glockenspiel della stessa Seasons
of Your Day, che ritorna sui passi degli amati Velvet Underground e quei sette
minuti e mezzo in coda, Flying Low, che rimuginano
un blues lascivo e psichedelico in cui la voce della Sandoval va a nozze, accompagnandosi
con un'armonica lacerante.
Un ritorno furtivo? Altri anni di oblio ci
aspetteranno? Non è dato saperlo al momento, ma quello che è certo
è che Seasons of Your Day non spreca una sola nota: come potrebbe essere
altrimenti vista la proverbiale parsimonia musicale dei Mazzy Star.