Dave McPherson
Dreamoirs
[
Graphite
2013]

www.dave-mcpherson.co.uk


File Under: fundraised pop-folk

di Gianfranco Callieri (17/07/2013)

Al sassone Dave McPherson i giochi di parole piacciono parecchio. Be', a chi non piacciono? Dreamoirs, per esempio, neologismo dove si incrociano "dreamers", sognatori, e "boudoirs", salotti, diventa quindi "salotti per sognatori": titolo azzeccato, per un disco. Nell'ambito delle canzoni, invece, abbiamo prima un ribaltamento grafico dell'aggettivo "impossible", impossibile, che diventa I'm Possible, ovvero "sono possibile" (possibile, sì, ma anche, di conseguenza, incerto), poi un acrobatico Ambivert Melanconnoisseur, con "ambivert", ambiverso, a posizionarsi fra "estroverso" e "introverso", "melanconnoisseur" a sposare "melancholy", malinconia, e "connoisseur", esperto, per sfornare un inedito "ambivalente intenditore della malinconia". Gli incastri fra sostantivi non finiscono qui, ma gli esempi possono bastare. A questo punto, chi non ha già ceduto alla tentazione di fracassare il cd sotto un incudine vorrà però chiedere al McPherson se costui ha ritenuto di confezionare un album o uno svago enigmistico per citrulli. In realtà, benché il ragazzo provi a farsi notare in modo forse un po' ingenuo, Dreamoirs risulta essere molto più interessante e sensato del suo titolo, o dei titoli delle sue canzoni.

McPherson fa parte del gruppo degli InMe, band britannica di alternative-metal (così afferma Wikipedia, non chiedetemi cosa significhi), in pratica un clone intontito dei già inespressivi Silverchair, e negli ultimi tempi sia lui sia il suo gruppo hanno scoperto le virtù di PledgeMusic.com, una delle tante piattaforme di crowdfunding sparse per la rete. Questo ha consentito agli InMe di continuare a rimpolpare di capitoli una carriera evidentemente non floridissima sotto il profilo economico, e a McPherson di tentarne un'altra, peraltro nelle impegnative vesti di one-man band, contrassegnata da un diverso profilo di stile. Dreamoirs è, dopo The Hardship Diaries (2011), diversi extended casalinghi e l'idea assurda di registrare una canzone nuova e diversa per ogni giorno del 2013 (vedremo come andrà finire), il suo secondo album da titolare e il secondo all'insegna di un pop-folk aggressivo e muscolare, sulla scia di Frank Turner, spesso inscenato sullo sfondo di solenni paesaggi orchestrali attraversati da cori stentorei (un po' fastidiosi, tanto sono esagerati, nello svolgimento della citata Ambivert). L'origine acustica del suono resta in diversi momenti incontaminata, per esempio nei primi minuti della drammatica Kingdom, ma a convincere di più sono proprio le parentesi in cui McPherson, giocandosi il tutto per tutto con l'innocenza di un esordiente qualsiasi, butta in mezzo alle sue canzoni qualunque cosa gli passi per la testa, appunto cori, assoli, tamburi battenti, archi a profusione, fraseggi di synth e chi più ne coglie più ne sottolinei.

Il risultato, oltre che al folk-rock da stadio di Turner, richiama una versione acustica ma grintosissima di Kooks o Rooney, una specie di Ryan Adams in parata post-grunge, un intreccio di chitarre unplugged e melodie power-pop forse brutto da definire e nondimeno molto divertente da ascoltare. Dietro l'orrendo titolo (ancora!), Relics Of Don Quixote racchiude una linea melodica degna dei Counting Crows, mentre l'ultima Mortals - il brano più suggestivo - trapianta nei paesaggi grigi dell'Essex, aggiungendovi una tonnellata di pop e con ottimi risultati, lo spleen rabbioso e doloroso dei Bright Eyes. Certo, l'insieme, se si vuole, non solo sembra, è fragile, alle volte incerto, farraginoso, pure già sentito. Dreamoirs, però, possiede anche quell'irruenza e quell'entusiasmo che, senza renderlo imperdibile, spingono ogni volta, al termine di ciascun ascolto, a riprenderlo in mano.


    


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