Murder by Death
Bitter Drink, Bitter Moon
[Bloodshot
2012]

www.murderbydeath.com


File Under: gothic country

di Yuri Susanna (30/10/2012)

Non ce ne siamo mai occupati prima, ma i Murder by Death sono una realtà affermata del country "alternativo": hanno seminato dietro di sé una mezza dozzina di album, tra i quali un improbabile concept su un villaggio messicano messo sotto assedio niente meno che dal diavolo e un disco ispirato dalla lettura dell'Inferno di Dante (In Bocca Al Lupo, forse il loro lavoro più significativo). Sono riusciti pure a infilare una canzone nello score di Inglourious Basterds di Tarantino. Bitter Drink, Bitter Moon si presenta ora sotto più di un punto di vista come un tentativo di ampliare il pubblico, dopo dieci anni di strada percorsa tra le pieghe oscure e maleodoranti (di zolfo, naturalmente) dell'immaginario gotico del sud degli Stati Uniti (anche se in realtà sono di casa nel Midwest, precisamente a Bloomington, Indiana). Gli indizi di questo sforzo sono molti, a partire dal modo in cui è stato finanziato il disco, con una campagna su Kickstarter che si poneva l'obiettivo di raccogliere 100 mila dollari in un mese e ne ha racimolati alla fine quasi il doppio.

L'evento ha funzionato da cassa di risonanza per il lancio dell'album, che viene licenziato dalla Bloodshot, etichetta che può garantire promozione e distribuzione adeguate alle ambizioni della band. Non è un caso dunque se questo è stato il primo disco dei Murder by Death a debuttare nella top 100 di Billboard. Lo merita? Una risposta univoca è difficile: è vero che qualche spigolo si è smussato - il violoncello di Sarah Balliett, da sempre il quid caratterizzante il suono dei MbD, insieme al baritono di Adam Turla (che più passano i dischi e più assomiglia a Johnny Cash), è meno dissonante e minaccioso e più "cinematico" (ascoltate Lost River, il melodramma di No Oath No Spell o il country waltz di Ghost Fields). Ma che questo rappresenti un'involuzione è tutto da dimostrare. Intanto, le liriche di Turla non si sono ancora stancate di andare a spasso lungo il lato oscuro, riuscendo nel contempo a giocare anche con un registro ironico: al contrario dell'universo claustrofobico di alcuni colleghi (Wovenhand, ad esempio), nei suoi versi il buio è striato da lampi di luce.

La produzione di un deus ex machina della scena indie (e non solo) contemporanea come John Congleton (Two Gallants, Baroness, Micah P. Hinson, ma anche David Byrne, tra i tanti) dona alla musica dei MbD un respiro più glamour. Gli arrangiamenti inseguono una maggiore varietà, merito in gran parte di Scott Brackett (ex Okkervil River), che ha portato in dote la sua abilità polistrumentale (accordion, mandolino, tastiere e percussioni). Ma tutto questo servirebbe a poco, se non ci fossero dietro buone canzoni, e Bitter Drink, Bitter Moon sotto questo aspetto mostra una band matura, in grado di manipolare con scioltezza gli stilemi elaborati nel corso degli anni. Sfilano una dietro l'altra tutte le loro ossessioni musicali, dal western gotico (I Came Around, Ramblin') alla ballata decadente à la Nick Cave (Go to the Light), dal dark anni '80 (Straight at the Sun) al tex-mex psicotico (The Curse Of Elkhart), alle trame blues desertiche (Ditch Lilly). Una specie di riassunto, che perciò funge anche da perfetta introduzione al mondo della band. Benvenuti all'inferno, allora. E buon divertimento.


    


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