Night Moves
Colored Emotions
[
Domino/ Self
2013]

www.nightmovesmpls.com


File Under: psych-folk-country-rock

di Yuri Susanna (07/05/2013)

California? No, Minneapolis. Eppure, avremmo scommesso sulla provenienza dalla costa Ovest di questo trio, nonostante il nome rubato a Bob Seger. Ma forse ci inganniamo anche su questo, forse si sono ispirati all'omonimo film di Arthur Penn (in Italia distribuito come Bersaglio di notte, e cercatelo perché merita). Di una cosa però siamo abbastanza certi: Colored Emotions suona come una scheggia di psichedelia conficcatasi nel fianco dell'indie music contemporanea direttamente dalla West Coast di fine anni '60. Non che sia chissà quale novità, intendiamoci: da Jonathan Wilson ai Woods, fino all'exploit dei Foxygen, di recente una certa "estetica da Laurel Canyon" è tornata di moda, tanto che anche dei precursori come i Beachwood Sparks si sono riformati nel tentativo di monetizzare il momento favorevole. Il fatto che i Night Moves provengano dalle Twin Cities - tra le temperature più basse di tutte le regioni metropolitane degli States, vale a dire un'idea di America quanto mai lontana dal sole della California e dalle vestigia della Summer of Love - testimonia che la geografia (in musica, almeno) è più un fatto di spirito che di meridiani e paralleli.

Comunque, ricostruendo la vicenda che ha portato alla distribuzione dell'album da parte della attiva e trendy Domino Records dopo che Colored Emotions, nella sua prima spartana veste, era stato originariamente reso disponibile dalla band in download gratuito, scopriamo che il disco è stato rifinito e in parte reinciso (numerose overdubs e nuove parti di batteria), indovinate dove? Ovviamente a Los Angeles, dove il trio è stato affidato alle cure dell'esperto Thom Monahan (Devendra Banhart, Vetiver). Tutto torna, dunque. Date le premesse potete immaginare cosa aspettarvi da queste canzoni: riverberi, armonie e chitarre lisergiche come se piovesse. E infatti. Headlights chiarisce il concetto subito: la voce di John Pelant, al limite del falsetto, si fa cullare dalle pulsazioni di basso e batteria, mentre la chitarra disegna trame oniriche e la tastiera apre squarci spaziali. Intanto un'armonica vibra lontano, sullo sfondo. E' lo stampo da cui prende forma il resto di un disco che dura poco più di 30 minuti, come i vecchi vinili dei Moby Grape (il paragone non è casuale).

Non pensate però a un'uniformità che appiattisce ogni cosa: le dieci tracce sono attraversate da inquietudini blues, svolte avant-folk (magari nella stessa canzone, come accade in Horses), piroette country (Country Queen, appunto, ma anche l'aria western di Old Friends) e cambi di marcia space-rock (Only A Child) che rendono l'ascolto meno prevedibile di quanto si crederebbe. La title-track sembra poi gettare un ponte sul presente, verso l'indie-folk contemporaneo (potrebbe essere tranquillamente un brano dei Grizzly Bear). Su tutto, c'è la capacità di scrivere una canzone partendo dalla melodia: abilità banale ma che li distingue da molti colleghi, troppo occupati dall'elaborazione di un suono per preoccuparsi delle canzoni. Un debutto intrigante. La stampa inglese, che non ha perso il vizio di mettere sugli altari qualunque scalzacane uscito dalle cantine di Manchester o Londra ma con gli yankees quando può ci va giù pesante, ha bocciato il disco definendolo un lavoro che "manca di immaginazione". Una garanzia in più sulla sua qualità, a ben vedere.


    


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