La
forza evocatrice di un'immagine... Quattro ventenni, spettinati e trasandati il
giusto, si fanno fotografare in posa fuori dello Studio 180, la sala prove di
Lambeth Road in cui hanno composto i brani del loro esordio (distribuito dalla
Rough Trade e prodotto dal bassista dei Pulp Steve Mackey, due chiari indizi sulla
natura del prodotto che ci stanno vendendo). I Palma Violets, da South
London, giocano scopertamente con l'iconografia del rock britannico - a noi è
venuta subito in mente la copertina di Meaty Beaty Big & Bouncy degli Who: una
posa, una scenografia talmente connotata che riesci quasi a "sentire" la loro
musica ancora prima di togliere il cellophane dal cd. E Best
of Friend, la prima traccia, è esattamente quello che ti aspetti: un
piccolo, epico concentrato di premura punk in una veste garage-rock. Come una
decina d'anni fa, quando lo strepito per la nuova scena indie/garage americana
guidata da Strokes, White Stripes e BRMC portò molti giovani inglesi a tirare
di nuovo fuori le chitarre (con Libertines e Kills a tirare il plotone), oggi
la storia si ripete.
Il rinnovato interesse USA per l'alternative rock
- che presenta due facce: l' ennesimo garage rock revival della West Coast, dove
registriamo le gesta di Ty Segal, Thee Oh Sees e Allah Las, e la scena degli stati
dell'Est, che guarda più agli anni '90 (Titus Andronicus, Cloud Nothing, The Men,
ecc.) - ha stimolato l'emulazione oltre Atlantico. Ecco quindi negli ultimi due-tre
anni i riflettori puntati su Band of Skulls, Yuck e Vaccines. O l'emergere di
piacevoli revivalisti come i See See. Tra tutti, i Palma Violets sono forse quelli
più quintessenzialmente british: dopo il primo brano il disco infittisce il gioco
dei rimandi, in un andirivieni che attraversa più o meno tutta la linea evolutiva
del brit-rock "giovane a arrabbiato" degli ultimi cinquant'anni o giù di lì. Noi
ci abbiamo sentito echi di Jam, Damned, Buzzcocks (Rattlesnake
Highway), squarci britpop degni dei La's (All
the Garden Birds), i goticismi degli Stranglers (il costante dialogo
tra tastiere e chitarre ricorda molto la band di JJ Burnel) e ammiccamenti che
dai "fratelli maggiori" Libertines e Artic Monkeys (Last of the Summer Wine,
Chicken Dippers) approdano al Merseybeat
anni '60, sporcato accuratamente da un po' di post-punk (Step
Up for the Cool Cats e Tom the Drum). Le
lodi fuori misura del New Musical Express (ma esiste ancora?), che li ha definiti
"the best new band in England" e li ha indicati come i leader della nuova "music
revolution", hanno già ottenuto l'effetto contrario, trasformando 180
nel bersaglio preferito di hipster e indie-snob. Non meritano il livore o il sarcasmo
che gli si è scaricato addosso, i Palma Violets. Sono solo quattro ragazzi che
suonano rock di seconda mano come fosse l'unica ragione di vita (e alla loro età
può anche avere un senso), rendendo accettabili con questa urgenza anche i difetti
compositivi, la mancanza di direzione, le ingenuità - solo dei ventenni possono
riciclare il riff di Sweet Jane, come avviene in I Found
Love, e sperare di cavarsela impunemente. No, non sono il futuro del
rock (quello, secondo i più maliziosi, sta ormai tutto alle sue spalle). Balleranno
una sola stagione, molto probabilmente. Ma non vediamo ragioni per non farci un
giro, finché dura.