Palma Violets
180
[Rough Trade/ Self 2013
]

www.palmaviolets.co.uk/m


File Under: british garage rock revival

di Yuri Susanna (06/04/2013)

La forza evocatrice di un'immagine... Quattro ventenni, spettinati e trasandati il giusto, si fanno fotografare in posa fuori dello Studio 180, la sala prove di Lambeth Road in cui hanno composto i brani del loro esordio (distribuito dalla Rough Trade e prodotto dal bassista dei Pulp Steve Mackey, due chiari indizi sulla natura del prodotto che ci stanno vendendo). I Palma Violets, da South London, giocano scopertamente con l'iconografia del rock britannico - a noi è venuta subito in mente la copertina di Meaty Beaty Big & Bouncy degli Who: una posa, una scenografia talmente connotata che riesci quasi a "sentire" la loro musica ancora prima di togliere il cellophane dal cd. E Best of Friend, la prima traccia, è esattamente quello che ti aspetti: un piccolo, epico concentrato di premura punk in una veste garage-rock. Come una decina d'anni fa, quando lo strepito per la nuova scena indie/garage americana guidata da Strokes, White Stripes e BRMC portò molti giovani inglesi a tirare di nuovo fuori le chitarre (con Libertines e Kills a tirare il plotone), oggi la storia si ripete.

Il rinnovato interesse USA per l'alternative rock - che presenta due facce: l' ennesimo garage rock revival della West Coast, dove registriamo le gesta di Ty Segal, Thee Oh Sees e Allah Las, e la scena degli stati dell'Est, che guarda più agli anni '90 (Titus Andronicus, Cloud Nothing, The Men, ecc.) - ha stimolato l'emulazione oltre Atlantico. Ecco quindi negli ultimi due-tre anni i riflettori puntati su Band of Skulls, Yuck e Vaccines. O l'emergere di piacevoli revivalisti come i See See. Tra tutti, i Palma Violets sono forse quelli più quintessenzialmente british: dopo il primo brano il disco infittisce il gioco dei rimandi, in un andirivieni che attraversa più o meno tutta la linea evolutiva del brit-rock "giovane a arrabbiato" degli ultimi cinquant'anni o giù di lì. Noi ci abbiamo sentito echi di Jam, Damned, Buzzcocks (Rattlesnake Highway), squarci britpop degni dei La's (All the Garden Birds), i goticismi degli Stranglers (il costante dialogo tra tastiere e chitarre ricorda molto la band di JJ Burnel) e ammiccamenti che dai "fratelli maggiori" Libertines e Artic Monkeys (Last of the Summer Wine, Chicken Dippers) approdano al Merseybeat anni '60, sporcato accuratamente da un po' di post-punk (Step Up for the Cool Cats e Tom the Drum).

Le lodi fuori misura del New Musical Express (ma esiste ancora?), che li ha definiti "the best new band in England" e li ha indicati come i leader della nuova "music revolution", hanno già ottenuto l'effetto contrario, trasformando 180 nel bersaglio preferito di hipster e indie-snob. Non meritano il livore o il sarcasmo che gli si è scaricato addosso, i Palma Violets. Sono solo quattro ragazzi che suonano rock di seconda mano come fosse l'unica ragione di vita (e alla loro età può anche avere un senso), rendendo accettabili con questa urgenza anche i difetti compositivi, la mancanza di direzione, le ingenuità - solo dei ventenni possono riciclare il riff di Sweet Jane, come avviene in I Found Love, e sperare di cavarsela impunemente. No, non sono il futuro del rock (quello, secondo i più maliziosi, sta ormai tutto alle sue spalle). Balleranno una sola stagione, molto probabilmente. Ma non vediamo ragioni per non farci un giro, finché dura.


    


<Credits>