Lee Ranaldo
Between The Times and The Tides
[
Matador/ Self
2012]

www.sonicyouth.com/symu/lee
www.matadorrecords.com

File Under: alternative-rock, indie-rock

di Nicola Gervasini (16/04/2012)

La mente va al 1994, quando uscì Experimental Jet Set, Trash & No Star, e non pochi salutarono il brano di apertura Winner's Blues (un semplice blues acustico con registrazione al livello demo) come una definitiva apertura dei Sonic Youth al mondo della canzone tradizionale, l'ultima tappa di quel passaggio al mainstream paventato dai vecchi fans ai tempi della loro forma per una major nel 1990. Oggi, 2012, sappiamo come è andata la storia, la variazione stilistica della band newyorkese si fermò a quell'episodio, e ad oggi la band ha continuato a proporre il suo rock alternativo con una coerenza stilistica invidiabile vista la longevità (30 anni esatti, praticamente i Rolling Stones della scena alternativa). Eppure sia il disco dello scorso anno di Thurston Moore (Demolished Thoughs), sia il rilancio del compare Lee Ranaldo con questo Between The Times and The Tides, sembrano indicare che la voglia di approdare ad una forma-canzone classica che non sia schiava dell'obbligo di apparire "alternativi" e sperimentali, fosse tutt'altro che solo una tentazione.

Ranaldo non è nuovo ad uscite soliste, ma la distanza concettuale che intercorre tra queste dieci canzoni che richiamano alla mente i R.E.M. di metà anni 80 e gli abbozzi sperimentali di From Here To Infinity del 1987 è abissale. Il riferimento più chiaro potrebbe essere il Bob Mould delle prime sortite soliste, quando appunto scoprì le gioie della mainstream-song dopo gli anni focosi degli Husker Du, ma anche certe quadrature di Steve Wynn. Viene forse da pensare con malizia che sia Moore che Ranaldo volessero scrivere queste canzoni molto prima, ma che l'impossibilità di snaturare il marchio Sonic Youth abbia fatto desistere i due e continuare sulle loro consuete strade.

Il rovescio della medaglia c'è, ed è la constatazione che se sul terreno del noise-rock loro restano i maestri indiscussi, alle prese con le trame elettro-acustiche che spesso strizzano l'occhio ai Wilco (e non solo per la riconoscibilissima presenza della chitarra di Nels Cline nella stupenda Xtina As I Knew Her) e a molto indie-rock moderno, Ranaldo finisce per essere solamente "uno buono", e se questo fosse il disco di un esordiente (potrebbe esserlo, i riferimenti sono vecchi, ma il risultato è decisamente attuale), lo saluteremmo con la stessa enfasi riservata ad un Kurt Vile o altri nuovi piccoli eroi del mondo rock sotterraneo. Qui Ranaldo esibisce una buona prova d'autore (Stranded addirittura rasenta il folk), barcamenandosi tra episodi in stile gioventù sonica (Waiting On A Dream) semplicemente spogliati dal loro tipico rumorismo, dimostrando comunque una grande esperienza nella costruzione anche di brani più complessi (Fire Island). Benvenuto tra i "normali" Mr Ranaldo.


   


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