John Vanderslice
Dagger Beach
[
Tiny Telephone
2013]

www.johnvanderslice.com


File Under: Blood on Todd Rundgren's tracks

di Gianfranco Callieri (24/07/2013)

Occupandoci di rock'n'roll, da queste parti siamo abituati a confrontarci con l'idea di "genere". Il genere esiste ovunque, in musica come in letteratura o al cinema, e mette insieme tassonomia, scienze sociali e linguistica. Determinato appunto dal linguaggio, dallo stile, talvolta dal sesso, il genere risponde a alcune caratteristiche: il r'n'r, o il jazz, sono generi facilmente identificabili, ma lo è anche il disco (o il libro, o il film) di chi rifiuta gli steccati di genere per intrecciarne diversi e, di conseguenza, crearne uno proprietario. Data l'appartenenza a un genere, data quindi la ricorrenza di costanti sintattiche o retoriche, si entra nel perimetro di una vera e propria poetica, come sappiamo da Aristotele e dai suoi commentatori in chiave filosofica (Ricoeur) e semiotica (Genette), quando, davanti a un'opera, si apre un "mondo" di segni dinamici. John Vanderslice, nativo della Florida ma da parecchio trapiantato in quel di San Francisco, parrebbe a un primo sguardo muoversi non in un mondo, bensì in un universo quasi illimitato di emblemi significanti: il suo pop'n'roll analogico, quasi una traduzione in chiave indie delle canzoni di Kinks, Todd Rundgren e Xtc formulata ricorrendo alle interferenze di un'elettronica cheap e polverosa, ha seminato ormai da dieci dischi a questa parte una lunghissima scia di indizi tesi a suffragarne la statura di autore (tanto più ricercata quanto più negata, benché solo in apparenza, da un lessico costruito su understatement, difetti, ironia, particolari storti).

Per Dagger Beach, album registrato dal nostro in tormentata solitudine nei boschi a nord di Sacramento, dopo il divorzio dalla moglie (e finanziato da una campagna su Kickstarter che ha raggranellato tre volte tanto la cifra sperata, al punto da spingere l'artista a incidere anche una rivisitazione del David Bowie di Diamond Dogs da spedire in omaggio a ciascun contribuente), si sono addirittura sprecati i paragoni con celeberrimi "break-up records" - i dischi-cronaca di una separazione - quali Blood On The Tracks (Bob Dylan), Sea Change (Beck), Get Lonely (Mountain Goats) o Disintegration (Cure). Fesserie. Il Vanderslice della "spiaggia dello spadaccino" sarà indubbiamente più malinconico e introverso del solito (in North Coast Rep rumina all'infinito su una vecchia fotografia), ma la vena intimista non ne corregge la propensione dispersiva, l'ispirazione frammentata nei rivoli acustici di How The West Was Won, in quelli orchestrali di Song For David Berman, in quelli elettrici (sempre con moderazione) di Raw Wood.

L'impianto è ormai consueto: un mazzo di canzoncine su basi acustiche, appena screziate da piccole deformazioni alla maniera del primo Wayne Coyne, rese devianti da un armamentario di synth scricchiolanti, tastiere antidiluviane, bleeps cavernosi. Solo che stavolta, anziché assumere connotati più classici, i brani sono ancora più brevi e disarticolati del solito. Nonostante questo, persino nel duetto fra pianoforte e chitarra di Song For The Landlord Of Tiny Telephone o nell'inaspettato climax percussivo di Sleep It Off, manca un qualsiasi effetto sorpresa. Pur cambiando gli anni e le condizioni di partenza, a non cambiare di una virgola è il metodo Vanderslice, troppo bislacco per emozionare sul serio, troppo tradizionale per incuriosire i cultori delle vere stranezze. E il problema della scrittura dell'artista è sempre lo stesso: per quanto possano essere bizzarri e stravaganti gli strumenti adoperati per sfogarla, a derivarne è di nuovo un insieme sfuggente, purtroppo incapace di trasformare l'indecisione in cifra stilistica. Come spesso accade, del resto, a chi possiede idee, intuizioni e inventiva ma non una poetica propria.


     


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