Water Liars
Wyoming
[
Big Legal/Fat Possum
2013]

waterliarsmusic.tumblr.com


File Under: psychedelic country folk

di Emilio Mera (01/05/2013)

Il Wyoming è una terra che incarna i tipici wide open space americani, conosciuta non solo per gli avvistamenti di Ufo (qui si girò Racconti Ravvicinati del Terzo Tipo) ma anche per le immense praterie, il verde dei suoi boschi e il bianco delle sue alte montagne (basta rivedersi Brockeback Mountain o Balla con i Lupi per rendersene conto). E Wyoming, secondo album per i Water Liars (dopo il loro esordio Phantom Limb di appena un anno fa) anche se registrato nella loro terra d'origine, il Mississippi (arrivano da Oxford, nel bel mezzo della Water Valley) richiama proprio quei vasti spazi aperti dove uno può vagare e perdersi per giorni. Il loro sound è qualcosa d'intrigante, un folk acustico dalle tinte country pennellato da incursioni elettriche dal sapore vagamente psichedelico tanto da renderlo difficile da catalogare in questo o in quel genere e per questo originale e versatile.

Le loro ballate dalle tinte uggiose tendono più verso "l'Amaro" che "il Dolce" ed esplodono in vere e proprie jam grazie a riusciti crescendo costruiti sul picking dell'elettrica di Justin Kunkel Schuster e sul thumping esplosivo del compagno Andrew Bryant. Wyoming possiede la forza, il vigore e la malinconia tipica di due losers della provincia americana dalla barba lunga che hanno passato metà dell'anno a suonare in qualche scalcinato bar, magari non adatto per tutte le occasioni ma sicuramente appropriato per i lunghi giorni piovosi o semplicemente per quando si ha solo voglia di crollare sul divano con quel tocco elettro acustico tipico degli Afghan Wings insieme alla delicatezza folk dei Fleet Foxes. In Sucker, opening track della raccolta, rimbomba la batteria di Andrew mentre Justin sfrega l'elettrica prima che sul finale della ballad esploda il loro sound come una bomba a orologeria. Fake Heart (che parla degli errori di essersi confidato con una ragazza) ha un mood malinconico e introspettivo, che inizia con un rallentato e indovinato riff e si trasforma in un bellissimo finale corale, dove i due compagni cantano a cappella.

Linens
ci riporta in lidi più solari con una bella ballata acustica, mentre Back bone è forse il brano più tirato della raccolta con un inizio ripetitivo e psichedelico tanto caro all'insegnamento del post punk, con un bell'assolo elettrico, per trasformarsi nel momento giusto in uno slow waltz sussurrato e intimo che ricorda proprio gli immensi e solitari open space. Cut a Line inizia con un bel groove elettrico acustico per trasformarsi in un pezzo esplosivo dove non mancano assoli e riverberi. Un suono a volte grezzo figlio di Kurt Cobain e del grunge dei primi '90. Da How Will I Call You il disco cambia traiettoria spostandosi verso un semplice folk acustico scritto e suonato con il cuore, mantenendo sempre un velo di malinconia. Azzecate sono la dolce titletrack e le successive You Works Days I Work Nights e Fine Arts ricche di una leggiadra psichedelica quasi impercettibile. Un piano in lontananza accompagna il cantato quasi da carillon di Justin, che funge da canto del cigno per una raccolta che presenta sicuramente tratti grezzi e spigolosi e altri di un'immensa malinconia capace di regalarci in ambo i casi emozioni forti.


    


<Credits>