Ha solo ventisei anni, ma ha una carriera giā di tutto rispetto Trixie Whitley.
Suo padre č proprio quel Chris Whitley che nel 1991 fece il botto con un disco
memorabile come Living With The Law ma condusse una carriera non sempre all'altezza
del suo formidabile talento, prima di scomparire prematuramente nel 2005, ma lei,
oltre a coltivare le passioni paterne seguendolo in tour fino all'ultimo, č anche
pittrice, scultrice, ballerina, Dj, batterista, chitarrista e tastierista innamorata
di elettronica. A condurla su questo ultimo terreno poi č stato un vecchio amico
di papā, quel Daniel Lanois che l'ha coinvolta come voce del suo gruppo Black
Dub nel 2010 (album forse irrisolto, ma da riscoprire). Fourth Corner
č il suo primo vero album, dopo ben tre EP registrati negli ultimi 5 anni (il
primo č prodotto da Meshell Ndegeocello) che avevano acceso la curiositā degli
addetti ai lavori. La prima impressione č quella di un talento vero, capace di
scrivere ottime canzoni e particolarmente attenta agli aspetti produttivi, anche
se ancora troppo legata ai suoi padri artistici. Impossibile non sentire il padre
in un brano come Never Enough (lei lo imita
anche nel cantato per l'occasione) ad esempio, la Ndegeocello nei vocalizzi di
Pieces, Lanois nella scelta dei suoni sempre alla ricerca del tono caldo
di una tastiera.
In qualche modo Fourth Corner č un disco legato agli
anni della sua formazione musicale, quei novanta dove l'arrangiamento di Need
Your Love o Hotel No Name, sospese
tra elettronica e chitarre distorte (sembrano uno dei brani incompiuti dell'ultimo
Jeff Buckley) avrebbero trovato molta pių eco. La produzione č stata affidata
a Thomas Bartlett, pianista prima ancora che produttore (spesso con il nickname
di Doveman), sentito come session-man per i National, Antony & The Johnsons e
Grizzly Bear (nomi che giā danno un'indicazione precisa del tipo di album che
vi ritroverete a sentire), e a Pat Dilett, da giovane tecnico del suono per le
produzioni di Nile Rodgers degli Chic, oggi uomo dietro le recenti sortite di
David Byrne, Glen Hansard e Donald Fagen.
Tanto basta per capire il livello
altissimo della realizzazione del disco, forse fin troppo ben definito e rifinito
a discapito di un minimo di improvvisazione d'artista. Album non facile al primo
ascolto, Fourth Corner ha tutti i pregi e difetti delle opere prime dalla lunga
gestazione, con una linea stilistica non sempre ben chiara e omogenea (anche nel
modo di cantare), ma parecchi motivi per scommettere su un futuro ancora migliore
(Breathe You In My Dreams, brano davvero notevole,
potrebbe essere il punto da cui ripartire). Consigliabile la versione con quattro
bonus tracks, anche se i 64 minuti totali possono risultare faticosi, ma il brano
Strong Blood merita di essere ascoltato.