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Americana, southern jam music di
Fabio Cerbone (12/07/2012)
La
dimensione live è sempre stata fin dagli esordi un luogo privilegiato in cui far
crescere le canzoni della Band of Heathens, tanto è vero che in meno di
una decina d'anni di carriera, il fortunato supergruppo texano ha più volte sfruttato
discograficamente questo connnubio. Fecero il loro debutto proprio attraverso
Live from Momo's, metà dello scorso decennio, ancora poco conosciuti fuori dai
confini cittadini di Austin e con una formazione in seguito rivista e corretta.
A quel disco, ancora ancorato ad un linguaggio più rurale e classicamente country
rock, seguì un più sanguigno e autentico Live at Antones, altro locale storico
dell'ambiente roots texano, riproposto in diverse versioni e infine allegato al
loro primo disco in studio per la Blue Rose del 2008. Non giunge quindi a sorpresa
questa generosa doppia testimonianza intitolata The Double Down - Live in
Denver, piatto abbondante che divide il set della Band of Heathens in
due cd distinti (e commercializzati separatamente), che ripropongono fedelmente
o quasi le scalette del 7 e 8 ottobre 2011 nella città del Colorado. Addirittura
ogni singola uscita si espande da una versione audio ad una corrispettiva testimonianza
video, in cui peraltro il dvd aggiunge materiale inedito (nel primo volume due
brani in più, Wlson & Otis e Hey Rider, nel secondo il solito contorno
del dietro le quinte, con materiale fotografico del lungo weekend musicale).
Si
tratta di tre ore complessive di show che hanno il merito di mettere una parola
definitiva sull'appeal di questo gruppo, notevolmente arricchitosi da un punto
di vista compositivo e delle influenze stilistiche: non siamo lontani da un'idea
definitiva di Americana, se questo genere-non genere deve in fondo sintetizzare
le diverse pulsioni del rock'n'roll a contatto con le radici della tradizione
folk. Su questo versante The Double Down è persino una della migliori dimostrazioni
sul campo ascoltate di recente, attraversando in lungo e in largo il repertorio
della band (tre i dischi di studio, con esiti altalenanti, ma anche buone intuizioni)
ma soprattutto proponendolo dal vivo in una veste più ambiziosa, espansa, che
confina con l'idea di jam e di tutta la lunga saga del southern rock. Innegabili
infatti le qualità "sudiste" della loro musica, che nel tempo si è sempre
più allontanata dalla matrice agreste, buttando un occhio alle vibrazioni soul
e bluesy, quando non esplicitamente pop, dei due autori Ed Jurdi e Colin
Brooks. Il primo sfrutta una voce carica di pathos e dai registri soul alti,
il secono una chitarra slide e un fraseggio che bazzica l'eredità del rock confederato,
dando alla musica di Band of Heathens un sapore più speziato. Ne guadagnano le
interazioni strumentali, che arrivano a toccare i dodici minuti dell'apertura
You're Gonna Miss Me e di Somebody
Tell the Truth, sguciando poi fra gli impulsi r&b di Should have
Known e Right Here with Me, il funk appiccicoso
di Enough e l'aura soul pià sofisticata di Say.
Non possiedono forse nel loro songbook canzoni memorabili, eppure i ragazzi di
The Band of Heathens sopperiscono con suggestioni, soluzioni strumentali e gioco
d'intesa che trasformano la squadra in un ricco enesemble dotato di fantasia,
con un repertorio godibilissimo.
All'ottimo
solismo del citato Brooks (che comunque forma un gustoso e abbondante piatto chitarristico
insieme ai colleghi Jurdi e Quist), si aggiungono i fondamentali ricami di Trevor
Nealon alle tastiere, una botta e risposta fra le dinamiche degli strumenti che
ricorda parecchio da vicino la lezione dei Little Feat, magari addolcita dall'eleganza
di The Band. E che il generoso raccolto di The Double Down ricordi vagamente quella
stagione a cavallo fra southern feeling e rock arioso della west coast non vi
è dubbio, soprattutto nei suoi episodi più elettrici e scorrevoli come L.a.Conuty
Blues o What's This World. Ciò
non toglie che il gruppo non si sia affatto dimenticato della sua genesi texana
e dall'animo country: dei tre autori in seno alla band, a Gordi Quist tocca
infatti questo ruolo e lo svolge con dedizione nella bella Judas'
Scariot Blues, sette intensi minuti in crescendo che sono una delle
tante attestazioni di maturazione della band. Che il trasporto e l'intesa musicale
siano le prime caratteristiche a sbocciare dai solchi di The Double Down dovrebbe
essere chiaro: anche in mancanza di pezzi da novanta, questa copiosa mietutura
live è una delle più gustose ascoltate in tempi recenti dal sottobosco Americana
e tra le pulsioni sudiste di Medicine Man e Jackson
Station, i toni gospel di Gris Gris Satchel,
la gioia acustica e melodica di Nine Steps Down, il trascinante sentimento
di Shine a Light e Gravity,
esempi questi ultimi del dominio della black music sulla scrittura della Band
of Heathens, le esibizioni di Denver si rivelano un bel campionario di american
music.
Meno febbricitanti ed elettrici (anche se il finale spasmodico
di I Ain't Running non scherza) The Band of
Heathens raccolgono comunque la sfida, dentro quella stessa tradizione che appartiene
di diritto anche a Black Crowes e Drive-By Truckers, addestrandola con un'attitudine
jam fra Widespread Panic e Blues Traveler e un senso della canzone roots figlio
di queste stagioni.