Ho
la sensazione che dovremo presto abituarci a una lunga serie di omaggi a mr. Bob
Dylan, fresco premio Nobel per la letteratura, che ha così ulteriormente aumentato
il fascino della sua figura e la potenza delle sue canzoni. Non che sia una novità
assoluta: il songbook di Dylan è senza ombra di dubbio uno dei più saccheggiati,
riveriti, analizzati da qualsiasi musicista ai quattro angoli del globo, figuriamoci
nella cerchia dei songwriter e degli interpreti americani, magari quelli più legati
alla tradizione folk rock.
Non abbiamo fatto in tempo ad assimilare il
recente tributo
di Willie Nile in chiave elettrica, che spunta la voce di Joan Osborne
a dare la sua personale versione del canzoniere dylaniano. E la differenza si
sente, aggiungo io, perché mi perdoni il buon Willie, per il quale proviamo un
sacco di affetto, ma la classe degli arrangiamenti e l'interpretazione messi in
campo da Joan insieme alla sua band è di ben altra categoria, rendendo questo
Songs of Bob Dylan (titolo semplice, dritti al punto) una scommessa
vinta e una curiosità per una volta tanto non così inutile come possono apparire
spesso i cosiddetti tribute album. La riuscita dell'operazione probabilmente sta
nel fatto che Joan Osborne - duttile cantante dalle profonde radici soul e folk,
che molti ricordiamo per il successo internazionale di One of Us, brano
dal suo esordio Relish del 1995 - ha rodato questi brani dal vivo, in uno spettacolo
tenutosi al "Cafe Carlyle" di New York per due settimane consecutive
insieme al chitarrista Jack Petruzzelli (Patti Smith, The Fab Faux) e al pianista
Keith Cotton, elementi che costituiscono anche l'ossatrura principale del gruppo
di studio che ha inciso Songs of Bob Dylan.
Gli arrangiamenti risaltano
e balza in primo piano la cura con cui Joan ha riadattato queste canzoni, senza
stravolgerle, a volte tenendosi più fedele all'originale (in genere capita nelle
ballate), altre invece provando a sporcarle della sua sensibilità soul. Ricordiamoci
infatti che la Osborne non ha mai nascosto le radici gospel e r&b alla base della
sua educazione musicale (fatto evidente in Bring It On Home, disco del 2012 composto
interamente di cover del genere) e qui le versioni di Rainy
Day Women #12 & 35, tutta fremiti swamp e sudista nel ritmo, Highway
61 Revisited, rallentata e davvero sensuale nei suoi movimenti black,
Spanish Harlem Incident, dal cuore gospel, Master of War e High
Water (For Charley Patton), incalzante nell'incedere bluesy, sono tutti episodi
che confermano questa impostazione. Ciò non toglie che vi siano passaggi più inclini
all'acustico e alla matrice folk, come infatti avviene per Buckets of Rain,
You Ain't Going Nowhere, impossibile da scindere
dalla sua anima country, o la conclusiva, pianistica Ring Them Bells, molto
rigorosa nel rispettare la forma musicale di partenza che propose Dylan in Time
Out of Mind, mentre Tangled Up in Blue e Quinn
the Eskimo (The Mighty Quinn) si collocano esattamente a metà strada, tra
brillante folk rock e southern soul che ci riporta sulle strade di Memphis e di
tanta musica americana degli anni settanta.
Difficile trovare un punto
debole, pur fra l'alternanza di emozioni e di stili, perché è nell'insieme che
questo Songs of Bob Dylan si fa apprezzare: senza la pretesa di
sfidare l'intoccabile potenza degli originali, eppure senza nemmeno la soggezione
di doverli riverire in maniera filologica, pescando in un repertorio vastissimo
che presenta, come avrete intuito, classici assoluti del canone dylaniano, ma
anche testimonianze più recenti della sua produzione.