:: Bruce Springsteen   We shall overcome: gioia e rivoluzione
 
Nei suoi personalissimi "Basement Tapes", Bruce Springsteen compie una scelta radicale andando ad interpretare un repertorio le cui fondamenta sono, sì, senza alcun dubbio, nella musica popolare e tradizionale, ma anche in un suo specifico profilo. Paradossalmente, questa unità d'intenti, l'interpretazione quasi da storyteller che Bruce Springsteen sfodera con quella carica che è il suo marchio di fabbrica, riporta ai suoi dischi più focalizzati, ovvero Nebraska e The Ghost Of Tom Joad. Nello spirito c'è un'assonanza, perché tutti e tre sono dischi schierati, in trincea, sulle barricate. Con una lucidità politica che solo Woody Guthrie, Pete Seeger (ovviamente) e pochi altri hanno coltivato. Alla classica domanda "da che parte stai?", Bruce Springsteen risponde ancora una volta in maniera eloquente e senza esitazione: dalla parte degli sconfitti, dei working class hero, degli immigrati e degli emigranti. Con una grande dignità e con la gioia di una musica che non si sente più: violini, trombe, fisarmonica, grandi cori e un'aria da festa che diventa contagiosa canzone dopo canzone. La spensieratezza sta da un'altra parte, perché i tempi sono quello che sono, però c'è energia, vigore, gioia perché la politica è consapevolezza e allora c'è più gioia e c'è più politica in una scatenata square dance o in quella straordinaria melodia che è Shenandoah che in tutti i proclami pre e post elettorali di questo mondo. E allora c'è più politica e più gioia in una piccola rivoluzione sonora, in un modo di suonare che sembrava andato perso in anni e anni di sovraincisioni, computer, copia e incolla e professionisti degli spartiti: una musica che si libera da sola, che torna al suo spirito originario e intaccabile, tra la gente, nelle strade e nella terra. Le obiezioni su Bruce Springsteen, il suo (recente) contratto da cento milioni di dollari (bingo!) o un paventato calo d'ispirazione (d'altronde anche i vent'anni sono andati da un pezzo) sono tutte legittime e discutibili, ma non tolgono nulla al fatto che queste canzoni, questa musica, queste idee abbiano trovato nuova forza per durare e per propagarsi, moltiplicarsi e rinvigorirsi nel tempo. Un disco importante, anzi fondamentale perché qui dentro c'è un'idea di libertà (e di politica) che nessuna costituzione, nessuna elezione riuscirà mai a raggiungere. E, in questo, abbiamo già vinto.
(Marco Denti)

Bruce Springsteen
We Shall Overcome - The Seeger Sessions
[Columbia/Sony 2006]



La superficie di We Shall Overcome - The Seeger Session senza dubbio si mostra a noi con il volto più scanzonato e divertito che Bruce Springsteen abbia offerto ai suoi ascoltatori da molto tempo a questa parte: quel senso di assoluto abbandono che guida le informali registrazioni - tre fugaci session tra il 1997 e il 2006 - non deve tuttavia ingannare sull'impegno e sul messaggio che sta dietro un'operazione discografica come questa, "sbrigativa" e amichevole quanto si vuole, ma con un peso specifico non indifferente nel periodo storico che viviamo. Con l'indipendenza, la tenacia e la sfuggevole posizione che da sempre lo contaddistinguono, Springsteen non ha svolto il compito secondo le regole prestabilite: nonostante le esecuzioni di My Oklahoma Home e Froggie Went a Courtin', chi pensa al disco "roots" o peggio ancora al divertissment country di Bruce ha sbagliato obiettivo, perché We Shall Overcome "sfrutta" il nome Pete Seeger a livello simbolico, lasciando una traccia per la lettura politica di questa canzoni, ma musicalmente va oltre gli originali e si avventura in una colossale festa di sonorità tradizionali americane che passano dal bluegrass allo zydeco, dagli spirituals dei neri al folk degli immigrati irlandesi, da New Orleans ai Monti Appalachi, secondo uno schema libero di imbrattare ogni stile, tenendo ferma soltanto quella voce inconfondibile, che senza troppi filtri sembra più vera che mai. Bisogna partire dalla visione del breve DVD allegato (tracce video catturate in studio, commenti dell'artista e due inediti, tra cui una debordante Buffalo Gals) per comprendere le ragioni dello Springsteen di We Shall Overcome, il quale ammette esplicitamente le motivazioni di una registrazione dove gli errori e la spontaneità colgono a volte il senso più profondo della comunicazione di un musicista. Come dargli torto di fronte ad una sequenza commovente e trascinante di traditionals: uno Springsteen così su di giri e "alticcio" non lo sentivamo da tempo, contornato in maniera inusuale da chitarre acustiche, violini (Soozie Tyrell, Sam Barnfield), banjo (Mark Clifford), accordion (Charles Giordano) e un intera sezione fiati (Ed Manion, Mark Pender e Richie Rosemberg). Quello che salta fuori dal cilindro è un roots sound talmente sovraccarico che suona francamente come rock'n'roll sotto mentite spoglie: lo sfacciato trasporto di Old dan Trucker, Jesse James e John Henry ad esempio, il clima orgiastico di Jacob's Ladder e l'aria paesana di Pay me My Money Down, un incrocio fra il dixieland e i Los Lobos, seguendo il tracciato di figure mitologiche della frontiera americana e della formazione di un popolo. Vivissime infine le colorazioni irish di Mrs. McGrath, uno dei vertici assoluti della raccolta insieme alla struggente ballata Erie Canal ed alle accese tonalità gospel di O Mary Don't You Weep, contrapposte al folk celestiale di Shenandoah , il lamento straziante di un vecchio pioniere o della stessa We Shall Overcome. Questo disco non è un divertimento, questo disco è il tentativo di un uomo e di un musicista americano di catturare il senso perduto di una nazione.
(Fabio Cerbone)

www.brucespringsteen.net



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