The Jeffrey Lee Pierce Sessions Project
The Journey is Long
[Glitterhouse 2012]

label.glitterhouse.com


File Under: psycobilly rock, post punk


di Fabio Cerbone (23/04/2012)

 


Ha ragioni da vendere Kris Needs - critico, musicista ma soprattutto compagno di sbronze di Jeffrey Lee Pierce - quando sottolinea, nelle belle e dettagliate note interne al cd, che The Journey is Long non è affatto un tribute album come se ne sono visti tanti, ma qualcosa di più complesso, e persino contradditorio aggiungiamo noi. Secondo episodio (di un trittico che dovrebbe andare presto a completarsi con le ultime registrazioni) della serie ribatezzata The Jeffrey Lee Pierce Sessions, l'album prevede infatti di resuscitare nastri inediti e sessioni abortite dell'ultimo scorcio di vita del leader dei Gun Club, trascinato tragicamente nel gorgo delle sue stesse dipendenze e manie, dopo una carriera spesa nel lancinante segno del rock'n'roll più necessario.

Secondo una delle mitologie più care alla storia di questa musica, è un vecchio compare, Cypress Groove (erano i tempi del progetto blues Ramblin' Jeffrey Lee), a scovare le registrazioni in una soffitta, cercando di recuperare il tempo perduto e chiedendosi cosa farne di quel patrimonio. L'idea è dunque di ricostruirle, non necessariamente come Pierce le avrebbe volute (e qui stanno tutta la contradditorietà e il fascino del progetto), chiamando a sé musicisti che direttamente o indirettamente hanno avuto a che fare con l'arte dannata e l'estro malsano di questo folletto biondo, figlio del punk e fan all'ultimo stadio tanto dei Blondie (fondò da ragazzo un fan club per Debra Harry…e oggi, ironia del destino, se la ritrova ad omaggiarlo) quanto del delta blues più ancestrale, da Son Hosue a Robert Johnson. Nient'altro che bozzetti, schizzi inutilizzabili venuti alla luce per caso e completati seguendo le differenti sensibilità dei partecipanti, anche se molti riuniti sotto il comune tetto dell'alternative rock e del poist punk, da cui lo stesso Pierce proveniva prima di lanciare definitivamente la creatura Gun Club.

Un'operazione necessaria? Si e no, senz'altro non per ribadire o esaltare il talento di Pierce - qui basterebbero le ricche ristampe di Miami, Fire of Love o Las Vegas Story, cercatele se sprovvisti - ma quanto meno un percorso originale per comprenderne l'influenza passata e futura, quella che riesce a coalizzare in un solo disco (diciotto gli episodi di questo The Journey is Long) vecchi compagni di viaggio, quasi contemporanei, come Nick Cave (apre con il funky blues sinistro di City in Pain e duetta poi con la citata Debra Harry in The Breaking Hands), Mark Lanegan (in coppia con Isobel Campbell in una speculare versione della stessa The Breaking Hands), Steve Wynn e Lydia Lunch con più o meno nuovi testimoni quali Jim Jones Revue (a loro il compito di chiudere la scaletta con la baruffa rock'n'roll di Ain't My Problem Baby). Se avete avuto modo di seguire la nascita delle sessions fin dal primo vagito vi sarete già accorti che gli attori sono più o meno gli stessi, con piccole variazioni sul tema: meno intenso forse del suo predecessore, a tratti raffazzonato (The Amber Lights, Vertical Smile e Barry Adamson non lasciano tracce "indelebili", per usare un eufemismo), The Journey Is Long fa entrare in gioco questa volta il blues acustico di un sorprendente Hugo Race (I'm Going Upstairs), il Mick Harvey trasognato di Sonny Boy, le cacofonie di Bentrand Cantat (Noir Desir) insieme a Warren Ellis in Rose's Blues, la rediviva coppia Thalia Zedek/ Chris Brokaw (Come) nella furente Zonar Roze e addirittura dei piccanti Panther Burns alla cui guida resta sempre Tav Falco in The Jungle Book.

Tra le maglie di queste acide ballate punk blues naturalmente anche il nome diretto di Jeffrey Lee Pierce, come anticipato: sue alcune chitarre e camei vocali raccolti fra i nastri dei primi anni novanta, resti del passato che ritornano a galla come fantasmi. Lascia l'amaro in bocca sentire quella voce fare capolino in sottofondo e viene voglia di resuscitare l'indiavolato spirito che lo guidava ai tempi di una Run Through the Jungle maltrattata a colpi di fendenti post punk
(stava sul capolavoro Miami). Ricordiamocelo sempre così, oppure con lo sguardo assorto e il fucile in spalla, allucinato cowboy sulla copertina dell'album solista Wildweed. Speriamo davvero "riposi in pace": nutro qualche ragionevole dubbio...

La scaletta:
1. City in Pain - Nick Cave
2. I'm Going Upstairs - Hugo Race
3. From Death to Texas - Steve Wynn
4. The Breaking Hands - Mark Lanegan & Isobel Campbell
5. The Jungle Book - Amber Lights
6. Rose's Blues - Bertrand Cantat, Pascal Humbert, Warren Ellis, Cypress Grove
7. Zonar Roze - Thalia Zedek & Chris Brokaw
8. L.A. County Jail Blues - Cypress Grove
9. I Wanna Be You - Barry Adamson
10. Sonny Boy - Mick Harvey
11. Book of Love - Vertical Smile
12. Body and Soul - Astro-Unicorn
13. The Brink - Lydia Lunch
14. The Breaking Hands - Nick Cave & Deborah Harry
15. In My Room - Tex Perkins & Lydia Lunch
16. The Jungle Book - Tav Falco's Panther Burns
17. St. Mark's Place - Mick Harvey
18. Ain't My Problem Baby - The Jim Jones Revue


  


<Credits>