David Crosby
Lighthouse
[Verve
2016]

www.davidcrosby.com

File Under: acoustic Crosby

di Fabio Cerbone (15/11/2016)

È quasi una sorpresa, rispetto alle tempistiche alle quali ci aveva abituato, ritrovare David Crosby a così stretto giro dalla sua precedente uscita discografica: Lighthouse segue di soli due anni l'ennesimo ritorno artistico annunciato che fu Croz, un disco che sembrava voler riacciuffare con professionalità e intensi intrecci, tra echi folk rock e pop smussato, un discorso abbandonato molti anni prima. Il successore è fatto di tutt'altra pasta musicale, un incedere rilassato, quasi metafisico che, come direbbero gli americani, diventa "stripped down", torna insomma all'essenza acustica di queste ballate e al gioco vocale di Crosby. Una scelta voluta e cercata da Croz insieme al chitarrista, produttore Michael League, leader dei newyorkesi Snarky Puppy, un esemble jazzy di Brooklyn per cui Crosby nutre grande stima da diversi anni.

È sotto la sua direzione che Lighthouse ha assunto questa forma spartana: escluse le parti ritmiche, giocate spesso sul solo intersecarsi delle chitarre dei due musicisti, i nove episodi seguono una sorta di flusso interiore che non disdegna di lasciare spazio alle eccentricità melodiche di David Crosby. Canzoni quali Things We Do For Love, dedicata alla moglie, o Somebody Other Than You sembrano riflettere ancora quel sacro fuoco che uscì dalla turbolenta stagione californiana, anche se gli anni che passano inesorabili hanno lasciato un impronta nel soffio celestiale della voce. Eppure è ancora capace di blandire, una brezza leggera che arriva dalla baia di Frisco, quando Crosby sublimò lo spirito di un'intera generazione nel suo capolavoro If I Could Only Remember My Name. È quasi logico che Lighthouse (a proposito: finalmente una bella copertina) sia stato accostato per atmosfere a quel disco, seppure non si avvicini alla stessa intensità artistica.

Quello che lo differenzia in verità è il mood generale: l'abbandono malinconico e trascendente, le melodie astrali oggi lasciano il passo ad alcune aperture folk che alternano brillantezza e mestiere, facendo spesso leva sulle parti vocali e sulla bruma folk jazz delle partiture di chitarra, per esempio nell'uno due di The Us Below e Drive Out to the Desert. Non c'è traccia della scalata al cielo di If I Could Only Remember My Name, e non potrebbe essere altrimenti, ma resta l'eco di un magistero, quello del Crosby più classico, nel mood di The City (dove appare l'organo di Cory Henry) e fra l'ordito placido di Paint You a Picture, brano scritto in coppia con Marc Cohn e accompagnato dal piano distante di Bill Laurance.

È forse una sorta di "riposo del guerriero", il meritato luogo di riappacificazione, lì dove il faro di Lighthouse pare illuminare il finale della vita di una nuova speranza: in tal senso la chiusura di By the Light of Common Day, con la seconda voce di Becca Stevens, è perfetta, uno dei momenti più intensi di un disco che entra in intimità con un autore rinato.


    


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