Tony Joe White
Rain Crow
[Yep Roc 2016
]

www.tonyjoewhite.com

File Under: king of swamp

di Fabio Cerbone (09/06/2016)

Immutabile come una sfinge che emerge dalle paludi sudiste, la musica di Tony Joe White è un monolite di umori swamp e acquitrini blues, che al diciannovesimo album in carriera non ha più nulla da dimostrare, solo perpetrare una formula unica, riconoscibilissima, fuori del tempo. White abita quella terra di lupi solitari che nel rock'n'roll hanno messo la firma su un sound personale e non lo hanno più mollato: come JJ Cale, come John Lee Hooker, o come il discepolo di quest'ultimo George Thorogood, anche lo stile di Tony Joe White è in apparenza a una dimensione, aggrappato a un paio di idee ripetute all'infinito, una formula che ne ha decretato lo stato di figura di culto.

Rain Crow rappresenta la coda di una trilogia partita qualche anno fa con The Shine e passata attraverso l'esordio in casa Yep Roc con il precedente Hoodoo, che sembra avere riportato tutto all'essenza di un tempo, dopo un periodo di appannamento artistico. Chitarra, basso e batteria, con la sezione ritmica formata da Steve Forrest e Bryan Owings, ritmi aguzzi e scheletrici, zero orpelli, queste nove canzoni inedite, in parte firmate con la moglie Leanne e prodotte insieme al figlio Jody, sono la quintessenza dell'uomo Tony Joe White, anche dal punto di vista del songwriting, mai così scuro nelle tematiche. Questo implica naturalmente una musica inchiodata al rantolio swamp blues e alle tinte funkeggianti che hanno fatto la fortuna di quest'uomo: prendere o lasciare, Rain Crow non toglie e non agiunge nulla a quanto seminato in quaranta e passa anni di onorata carriera.

È il suo limite e il suo fascino al tempo stesso, con una voce che nel mentre si è trasformata ancora più in un mormorio, un mugugnare limaccioso che canta di un vento cattivo (The Bad Wind), puro gotico sudista, e di Rain Crow, elementi della natura che sono il riflesso della wilderness americana, prima di addentrarsi in storie tipicamente dai margini come The Middle of Nowhere, scritta insieme all'amico Billy Bob Thorton, e Conjure Child, o di inventarsi affascinanti personaggi femminili come la protagonista di Hoochie Woman. Potrebbe essere uscito nel 1970 o giù di lì questo Rain Crow e non ci saremmo accorti della differenza: le chitarre azzannano la carne con un boogie ossessivo, il battito è a dir poco primitivo in Opening of the Box, Right Back in the Fire è la prima e unica ballata in scaletta, sussurrata e profonda nel tono da baritono di Tony e il serpeggiare fra armonica e chitarra acida di Tell Me A Swamp Story nel finale è una specie di manifesto dell'autore, della sua terra e del modo di legare quest'ultima al suono che gli gira nella testa.

Che tutto ciò abbia la stessa potenza di quando uscì il classico Polk Salad Annie lo lascio decidere a voi: a settantadue anni, riflettendo sullo scorrere della vita, l'impressione è che Tony Joe White non possa che cantare sempre la stessa canzone, con immutato fascino.


    


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