Marty Stuart and His Fabulous Superlatives
Way Out West
[Superlatone
2017]

martystuart.net

File Under: cosmic country opera

di Fabio Cerbone (01/04/2017)

L'impressione è che siano ancora troppo pochi coloro che si sono accorti della splendida maturazione avvenuta in Marty Stuart, un gigante dell'american music che nell'età della saggezza sembra avere raggiunto un'ispirazione, ma soprattutto una visione musicale, che non hanno eguali a Nashville, e che certo non erano così prevedibili nella prima fase della sua vita artistica, quando passava per uno dei tanti (pur bravi) neo-tradizionalisti alle prese con il corpo vivo del country. È fin quasi riduttivo definire con tale termine l'opera dell'ex enfant prodige, ragazzino del bluegrass alla corte di Lester Flatt e poi chitarrista giovanissimo al seguito di Johnny Cash. Il songbook che ha creato negli ultimi quindici anni di carriera meriterebbe una biografia a parte, per la capacità di mantenere viva la fiaccola della memoria con la freschezza e la preparazione di chi conosce la materia viva su cui si cimenta ogni giorno.

Dalla grezza creta del country rurale all'honky tonk elettrico fino alle gioie divine del gospel, non c'è stato album che non lo abbia distanziato dai tanti apprendisti, e non c'è stato progetto che non avesse un'idea forte alle spalle. Way Out West è l'ennesimo "concept" architettato con i fedeli Fabulous Superlatives, mai definizione fu così poco esagerata per descrivere l'eclettica e talentuosa qualità strumentale del quartetto (con l'ultimo arrivato Chris Scruggs a basso). Niente affatto nuovo ad operazioni di questo tipo - si pensi al sottovalutato viaggio di Pilgrim o ancora al coraggioso Badlands, disco dedicato alla storia dei Lakota - Stuart si è immaginato una lettera d'amore alla California e ai grandi spazi dell'Ovest americano, che si apre con le voci dei nativi americani in Desert Prayer Part I e si chiude sui titoli di coda della cavalcata morriconiana di Way Out West (Reprise).

È l'incanto indistruttibile della frontiera, del "Way Out West" per l'appunto (ricordate una vecchia copertina di uno splendido Sonny Rollins d'annata?), con la colonna sonora ideale a farne da sfondo: country cosmico e chitarre surf, il twang pulsante delle sei corde dello stesso Stuart con il fido Kenny Vaughn (un gigante), e ancora il jingle jangle dei Byrds (nel crepitio di Time Don't Wait) e l'inconfondibile suono di Bakerfield che fu di Merle Haggard e Buck Owens (la sorprendente rielttura di uno standard jazz come Air Mail Special di Benny Goodman), l'amato maestro Johnny Cash e le ballate dei fuorilegge. Questo ed altro ancora ispira un ciclo di canzoni e di crepitanti strumentali che fanno da raccordo nella "narrazione" (gli orizzonti dell'alba nel deserto in Mojave, e ancora El Fantasma del Toro, Torpedo, oppure una Quicksand che pare sbucata dagli inediti di Link Wray), i quali si susseguono in un cinemascope musicale condotto dalla regia di Mike Campbell. È proprio l'anima chitarristca degli Heartbreakers di Tom Petty a produrre il disco fra gli studi storici della Capitol e quelli personali in California, alimentando il fuoco dei Fabolous Superlatives.

Stuart non sceglie a casaccio la sceneggiatura: Lost on the Desert è la tesi, un vecchio brano di Johnny Cash che introduce l'argomento; la stessa Way Out West e Whole Lotta Highway (With a Million Miles to Go) sono lo sviluppo, rievocazioni dei primi viaggi verso la terra promessa e le insidie che che vita on the road porta con sé; Old Mexico la visuale sul border al di là del sogno americano; Wait for the Morning il risveglio nella terra dell'eldorado. Uno dei migliori romanzi musicali sull'America e la sua epica dello spazio infinito: Marty Stuart ne è l'autore e artefice.


    


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