Lucinda Williams
Good Souls Better Angels
[Highway 20 Records/ Goodfellas
2020]

lucindawilliams.com

File Under: rough americana blues

di Fabio Cerbone (01/05/2020)

L’avevamo lasciata lungo la highway 20, tra i fantasmi della sua esistenza, a rimuginare su battaglie e memorie personali che riempivano di canzoni l’umorale, persino troppo generoso doppio album (The Ghost of Highway 20), la ritroviamo adesso feroce e blues nell’anima lacerata, con un passo deciso verso lo scontro, la schiettezza e la carica di un hard blues dal carattere garage nei suoni e sudista nelle vene. Nel mezzo c’è stato il passaggio di This Sweet Old World, interlocutorio tentativo suggerito dal compagno e produttore Tom Overby di dare una riverniciata a un suo vecchio album, ma, con il senno di poi, forse uno strataggemma per ricaricare le batterie, in attesa di nuovi stimoli. Sono arrivati, come un uragano in piena regola, consegnando in Good Souls Better Angels un disco scontroso, imperfetto quanto si vuole, ma che sprizza vitalità come non capitava da tempo alla musica di Lucinda Williams.

Dodici brani che si rivelano persino più profetici del previsto, concepiti nel divisivo clima politico e sociale che l’America sta vivendo da qualche anno, con un nome e un cognome a sedere alla Casa Bianca, e che oggi assume un significato ancora più denso, reale, aggregandosi in nuvole grigie sulle nostre vite. È il potere magico della musica quando coglie con intuito e istinto uno scostamento nell’esistenza e vi si adatta grazie a un messaggio universale: Lucinda Williams lo racconta alla sua maniera, con il tumulto della sua voce in primo piano, quel fraseggio southern che gorgoglia sofferente ed è sempre un prendere o lasciare, il tutto con parole meno narrative del solito per lei e più dirette, addirittura ingenue nella sincerità, ma dannatamente efficaci. You Can’t Rule Me, “non mi puoi governare”, strascica la signora dell’Americana a tempo di arcigno rock blues, e noi le crediamo eccome. Il Mississippi e la sua amata Lousiana esondano minacciosi più che mai in questo Good Sould Better Angels, l’album stilisticamente più blues, per strutture e sentimento, della sua recente produzione: un’ora registrata in presa diretta, e l’effetto si riverbera sull’energia delle canzoni, con il fidato trio composto da Butch Norton (batteria), David Sutton (basso) e Stuart Mathis (chitarre) e la visione di Tom Overby (che per la prima volta firma diversi episodi in coppia con Lucinda) e del ritrovato Ray Kennedy.

L’espediente delle dodici battute e la loro franchezza di significato sono l’arma migliore per commentare il Bad News Blues della Williams, che passa a descrivere, pur senza fare nomi espliciti, quel Man Without a Soul che ha inquinato il vivere sociale intorno a lei: bianco o nero, purché ti schieri nella lotta. La cadenza vulnerabile e il tremolio della voce in Big Black Train sono la quintessenza di uno stile e Lucinda Williams trascina nel suo country soul dolente l’intera band, che qui scalpita fra aria e fuoco, tenerezza e rabbia, abbracciando le ombre melanconiche della ballate come Shadows & Doubts e When the Day Gets the Dark. Queste ultime ormai sono una scuola di pensiero, tanto si identificano con l’intepretazione della Wiliams, salvo infiammarsi d’improvviso nella convulsa e stridente Wakin’ Up, spietato resoconto di violenza domestica, o nel fremito di una clamorosa Pray the Devil Back to Hell, archi e chitarre a caricare di nubi nere il cielo prima che Stuart Mathis lo squarci con un solo acid-blues.

È un disco lunatico questo Good Souls Better Angels e quando pensi di averlo domato, riprende a scalciare, affondando ancora il coltello nella carne viva della divisione politica in Bone of Contention (“il pomo della discordia” e il “sale nella mia ferita” canta Lucinda Williams), collisione blues che si tinge di un’anima hard rock, sfocianodo così nella clava di Down Past the Bottom e nel fango vischioso di Big Rotator, tra slide guitar e rumori sinistri. Le Good Souls albeggiano alla fine del viaggio e sembrano emergere come una lama di luce e di speranza, in forma di invocazione a tempo di pigra ballata sudista.



    


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