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Chris Eckman
Where the Spirit Rests
[Glitterhouse/ Goodfellas 2021]

Sulla rete: chriseckman.net

File Under: fantasmi folk

di Fabio Cerbone (23/09/2021)

Bianco e nero, nubi basse che si addensano, liriche che procedono per brevi sensazioni e immagini immerse nella natura, ballate ossute, dall’anima folk densa e scura: il quinto album solista di Chris Eckman, Where the Spirit Rests, è una sorta di personale “american recording”, per suggestioni e stile sonoro evocati, inciso nel suo isolato ritiro europeo in quel di Lubiana. Da anni trasferitosi nella capitale slovena, dove gestisce uno studio di registrazione personale e lavora a mille progetti, in qualità di autore e produttore, l’ex condottiero dei Walkabouts è musicista di rigore assoluto e al tempo stesso di grande apertura e curiosità (basterebbe citare la bellissima creatura dei Dirtmusic creata insieme a Hugo Race). La dimensione solista sembra tuttavia abbandonarsi magnificamente a scavare nelle profondità delle sue radici di folksinger, dentro quell’eredità Americana che insieme ai Walkabouts ha spesso fatto riemergere in ballate tempestose.

Se ciò che caratterizzava la band con Carla Togerson era, gioco forza, un suono più elettrico, dal passo ora epico, ora notturno, nel viaggio di When the Spirit Rests (e altrettanto accadeva nel desertico Harney County del 2013, da riscoprire) si allungano le ombre acustiche di una tradizione ripercorsa indossando gli abiti neri di Johnny Cash e attraversando l’intensità ferina di Nick Cave. Si tratta soprattutto di affinità elettive, per una musica e un autore che, nonostante la figura di culto, non avrebbe bisogno di sostenere confronti: è la voce, mai così nera, arsa, incanalata nelle profondità dell’animo umano, a dettare simili suggestioni, annunciando il tenore dell’album nei fantasmi di Early Snow.

Elementi naturali, proverbiale wilderness, sono costantemente richiamati nei testi, che si accumulano attorno a sentimenti di perdita, incertezza e ricerca di redenzione, per un pugno di ballate (sette in tutto, ma mediamente lunghe) fondate sul binomio essenziale di voce e chitarra (il finale con CFTD, acronimo di “calm the fuck down”, la più austera e folkie dell’intero disco), e poi incatenate alle stratificazioni sonore offerte da piano e synth di Alastair McNeill (Roísín Murphy, Yila), con qualche intrusione di pedal steel (i languori country di This Curving Track, quelli sabbiosi e lunari di Driving in America) ad accentuare il distante cuore americano che batte nel petto di Eckman. Non occorre molto altro, se non un parca sezione ritmica e soffi di violino e viola (Catherine Graindorge), per procedere lungo il crinale selvaggio di Cabin Fever, scorcio di eleganza che si riallaccia ai momenti più poetici dei Walkabouts, oppure per lasciarsi cullare dalle visioni di Northern Lights, miracolo di sottrazioni sonore, tra i momenti più sospesi di un album che trova la sua autentica catarsi nei nove minuti della stessa When the Spirit Rests, preghiera d’amore che fluttua su un tappeto di sospiri dettati dal piano elettrico dell’ospite Chris Cacavas.

Un disco con un’anima quasi ancestrale, ma calato dentro il nostro tempo e tutte le sue insicurezze.


    



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