Che Tyler Childers,
brillante talento di quella fucina country che si è rivelata di recente
la terra del Kentucky, avesse il coraggio e anche un po’ l’incoscienza
di sparigliare le carte del genere ce n’eravamo accorti già con il precedente
Long Violent History, disco di antichi fiddle tunes, tradizionali
per violino che riportavano in auge l’eredità più nascosta del folk appalachiano
in cui lo stesso Childers è cresciuto. Difficile tuttavia immaginarsi
un’operazione come Can I Take My Hounds to Heaven?, triplo
album, ventiquattro tracce suddivise in tre distinti capitoli, intitolati
rispettivamente Halleluah, Jubilee e Joyful Noise, che ripropongono gli
stessi otto brani in differenti arrangiamenti e soluzioni sonore.
In attesa di capire se si tratta di una presa in giro (il disco, soprattutto
nel formato in vinile, non è senz’altro venduto a buon mercato), di un
azzardo artistico o più banalmente di un colpo di testa del musicista,
il quale non è stato riportato a buoni consigli dalla casa discografica
(il marchio RCA però si limita a distribuire, l’etichetta resta la personale
Hickman Holler), ciò che ci rimane da giudicare è il senso più o meno
compiuto del contenuto musicale. E anche qui molti dubbi restano, perché
dei suddetti otto brani l’iniziale The Old Country Church è una
cover di un brano di Hank Williams, Purgatory una rielaborazione
della title track dal secondo album di Childers, e Two Coats e
Jubilee nella sostanza due strumentali rielaborati in tutte e tre
le versioni proposte. Messa in conto anche la durata di Can I Take
My Hounds to Heaven?, poco più di mezz’ora di musica, perché dunque
non limitarsi a un solo disco e semmai a qualche generosa bonus track?
Evidentemente Tyler Childers e band al seguito, i fedeli The Food Stamps,
sono stati guidati da ben altra convinzione mettendo mano a questo materiale
di chiara ispirazione country gospel, con quel sostrato spirituale che
lo infervora e una naturale propensione al gesto soul e funk. Soprattutto
nel formato diretto, live in studio, del primo capitolo Halleluah
l’impressione è dannatemente buona, almeno quando si arriva al dunque:
The Food Stamps assecondano l’intensità del “reverendo” Childers e la
citata The Old Country Church, l’honky
tonk sbrigliato di The Way of the Triune God e l’innodica
Angel Band sono fiori all’occhiello di un’american music dal
respiro antico e rinnovato al tempo stesso, mentre il finale passionale
di Heart You've Been Tendin' alza il tasso rock dell’interpretazione
di Tyler Childers.
Il problema è che Can I Take My Hounds to Heaven? non finisce affatto
qui e così arriva la "replica" di Jubilee: la differenza?
Un po’ di archi qui, una spolverata di fiati là, in generale una
punta di southern soul in più, ma guarda un po’ si finisce per preferire
la dimensione asciutta degli otto episodi di Halleluah, fatta forse
eccezione per una irresistibile The Way of the
Triune God ringalluzzita da un soffio bandistico in stile New
Orleans, mentre Heart You've Been Tendin', comprensiva di uno sfarfallio
di violini, finisce in zuccherosi territori Motown e Jubilee in
versione cantata (voce femminile lagnosa oltre l’accettabile) si affloscia
completamente. Dei remix e sample in chiave elettronica, con un lavorio
di taglia e cuci, presentati nel terzo atto di Joyful Noise avremmo
invece fatto a meno: forse perché non siamo in grado di capirli, molto
più probabilmente perché si rivelano per quello che sono, un gioco stucchevole
e fine a se stesso che non sembra “svelare” nulla di inedito su queste
canzoni, rendendo l'ascolto complessivo estenuante.
E dunque torniamo sempre al punto di partenza: i dischi siamo abituati
a giudicarli nel loro insieme e non a pezzi, per cui se Tyler Childers
ha deciso di spiattellarci un triplo album in un colpo solo, noi così
lo trattiamo, rispendendolo al mittente come una (bella) occasione sprecata
e con il suggerimento, per la prossima volta, di concentrarsi meglio sul
contenuto, lasciando perdere il superfluo.