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Freedy Johnston
Back on The Road to You
[Forty Below records 2022]

Sulla rete: freedyjohnston.com

File Under: power pop maestro


di Fabio Cerbone (12/10/2022)

C’è stato un tempo in cui - roba da non crederci in tempi come questi, dove il sonwgriting di qualità non è esattamente al centro delle attenzioni - il nome di Freedy Johnston era portato in palmo di mano dalla critica, tra le possibili next big thing della canzone rock d’autore americana. Era la prima metà degli anni Novanta, le grandi case discografiche concedevano ancora una possibilità a qualche outsider e finivano per investire soldi e tempo in dischi “minori” e incantevoli. Accadde così che Can You Fly divenne uno dei titoli più chiacchierati del 1992 e per il successivo This Perfect World si scomodò persino un marchio come l’Elektra e un produttore come Butch Vig (vi dice niente Nevermind dei Nirvana?).

I quindici minuti di notorietà passarono in fretta (ma almeno Never Home e Right Between the Promises restano altri due album da ricordare) e Johnston piano piano uscì dalla vista dei radar, dedicandosi sempre alle sue canzoni, ma con più parsimonia. Tanto è vero che negli ultimi quindici anni le notizie sono state scarse e i dischi altrettanto: ritrovarlo in forma e concentrato sul pezzo, come si dice in questi casi, con il qui presente Back on the Road to You è dunque ancora più appagante, una voce amica che non ha perso lo smalto dei tempi migliori, sfruttando quelle armi naturali che sono la melodia facile, un folk rock svelto e dal gancio pop, una scrittura intelligente e ironica che guarda alle piccole scosse del cuore, fra sentimenti e quotidianità.

Inciso a Los Angeles sotto la guida del produttore e discografico (suo il marchio Forty Below records che pubblica il disco) Eric Corne, Back on the Road to You flirta con un po’ di nostalgia, sfrutta il mestiere, ma scova anche canzoni immediate che collocano una volta di più Johnston in quella linea immaginaria che unisce Elvis Costello a Tom Petty, sobbalzando con leggerezza nell’apertura affidata alla title track e subito agganciando il traino del singolo killer con There Goes a Brooklyn Girl, un brano che potrebbe tranquillamente appartenere alla scaletta del citato This Perfect World (cercatelo nell’usato sicuro, è un affare). Se la sensazione è di averle già sentite queste canzoni (The I Really Miss Ya Blues), dall’altra il merito dell’album è proprio la sua familiarità e quella disinvoltura nell’esprimere la voce più autentica di Freedy Johnston, uno che sa scrivere senza colpo ferire una canzone su un amore tecnologico (la deliziosa Madeline’s Eyes) e gettarsi poi nelle braccia di una agrodolce ballata dal’intonazione country (That’s Life, Darlin’).

In quest’ultima a fare da spalla c’è la voce dell’amica Aimee Mann e se lei come le colleghe Susanna Hoffs e Susan Cowsill si sono messe subito in fila per partecipare alle registrazioni, qualcosa vorrà pur dire riguardo la stima accumulata negli anni da Johnston. Non si spiegherebbe altrimenti anche il suono cristallino che una band costruita sulle qualità di gente, tra gli altri, come Doug Pettibone (Lucinda Williams) o Dusty Wakeman (Jim Lauderdale) può offrire allo svelto power pop di Tryin’ to Move On e The Power of Love, le più elettriche del lotto in contrasto con la sofisticata eleganza melodica di una Somewhere Love, che piacerebbe a James Taylor.

Uno dei migliori autori della sua generazione, anche se non se n’è accorto (quasi) nessuno. Ma la storia la conosciamo già.


    



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