Annunciato a più riprese,
quindi accantonato per diverso tempo nei cassetti delle cosiddette Special
Release Series degli archivi di Neil Young, Toast è
soltanto l’ultima delle riscoperte dallo sterminato canone rock concepito
dal muscista canadese insieme ai Crazy Horse. Sette brani “minori” sbucati
da alcune sessioni tenutesi presso i Toast Studios di San Francisco nel
2001, da cui Young avrebbe poi attinto per imbastire una parte della scaletta
di Are You Passionate?, album dell’anno successivo che rivedeva
la formula elettrica di queste incisioni coinvolgendo l’anima soul di
Booker T. & the MG’s.
Di fatto un’altra produzione avrebbe caratterizzato questi brani, pur
conservandone l’anima dolente e quel senso di perdita e di fine di una
relazione che lo stesso Young annuncia adesso quale schema portante della
sua scrittura all’epoca. Così triste il mood delle canzoni, afferma Neil,
da averle messe in un angolo, cercando di dimenticarle o forse di farle
decantare. Il recupero di oggi, a più di vent’anni di distanza, non è
un’ingiustizia riparata o un chissà quale gioiello perduto restituito
alla luce, eppure ne motiva più di altre recenti operazioni la presenza
discografica, perché riflette una coerenza sonora impagabile e ci ricorda
l’alchimia dei Crazy Horse insieme al loro condottoriero, soprattutto
quelli che registravano ancora la presenza di Frank Sampedro in squadra.
È evidente questo connubio inseparabile quando scatta la scintilla elettrica
di Standing in the Light of Love, tignosa, robusta e screziata
di hard rock come certo materiale dell’epoca Ragged Glory, e altrettanto
e forse più lo certifica il galoppare imbizzarrito di Timberline,
country rock di casa con coretti annessi e imbrattatato anche da qualche
sventagliata di tastiere, per non dire della ben nota Goin’
Home, rugginosa come prevede la sceneggiatura da Like a
Hurricane in poi ed essenzialmente uguale alla stesura che sarebbe
finita su Are You Passionate? Il piccolo gioiello tuttavia si intitola
Gateway of Love, dieci minuti che
ondeggiano raminghi e tremolano sui dialoghi delle chitarre di Young e
Sampedro come ai tempi d’oro di Zuma.
Ciò che resta è, come anticipato, assai coerente al contesto musicale
e affettivo di queste sedute di registrazione, sebbene il groove dei Crazy
Horse si riveli per forza di cose molto distante dai risultati più funky
che una formazione come Booker T. & the MG’s avrebbe successivamente saputo
offrire a certo materiale. Ce ne possiamo accorgere nella “svogliata”e
agrodolce melodia dell’iniziale Quit, mentre l’atavica nostalgia
che avvolge How Ya Doin'? (poi divenuta
Mr. Disappointment) sembra esaltarsi meglio in questa versione, grazie
all’impasto delle voci dei Crazy Horse con quelle dello stesso Young.
L’episodio più provvisorio e indecifrabile è appannaggio proprio della
conclusiva Boom Boom Boom (intitolata poi She’s a Healer,
sempre posta a chiusura di scaletta in Are You Passionate?), qui
dilatata a tredici minuti sfilacciati e nebulosi, in una coda che alterna
chitarra elettrica, piano e tromba, e che a suo modo rappresenta l’essenza
del gesto di Neil Young con i Crazy Horse, anche quando non se ne intuisce
esattamente la direzione.