[Home]
 
 
Acquista (#pubblicità)
Condividi
 
 

Jeffrey Martin
Thank God We Left the Garden
[Loose music/ Gooddellas 2023]

Sulla rete: jeffreymartinmusic.com

File Under: a man and his guitar


di Fabio Cerbone (01/12/2023)

Si può ancora catturare l’attenzione soltanto con una chitarra acustica e la propria voce? È una domanda retorica, certo, per noi che inseguiamo storie di songwriter e ballate folk da una vita, ma la risposta non è così scontata, perché la differenza spesso è dettata da particolari che hanno a che fare più con il mistero, le emozioni, e una sensibilità che rimanda a ulteriori ascolti. Jeffrey Martin, texano di San Antonio, sembra possedere il dono raro di una voce, e di uno storytelling, che ti inchiodano fin dalla prima pennata di chitarra in Lost Dog, traccia d’apertura del suo quarto lavoro (se abbiamo fatto bene i conti con la sua oscura produzione indipendente) e terzo in sequenza per la Fluff & Gravy (Loose music per il mercato europeo) etichetta di Portland, Oregon, da qualche anno diventata la città di adozione dell’autore.

Una vera scoperta per chi è ancora innamorato di quei cantautori che scavano in profondità e hanno il talento di porre domande, qui nascoste tra versi che possiedono una qualità letteraria non comune, frutto immaginiamo della precedente esistenza di Jeffrey, laureato in lettere e insegnante di liceo, prima di abbandonare ogni cosa e scegliere la strada impervia del musicista in perenne spostamento. Qualcuno in passato ha scomodato Raymond Carver per descrivere il dettaglio delle parole di Martin, noi ci limitiamo a constatare la tenera e malinconica bellezza di ballate come Garden, Quiet Man o There Is a Treasure, che trasportano in un’America da suburbio, quella del Northwest in cui si muove lo sguardo di Jeffrey Martin.

Il linguaggio è volutamente ridotto all’osso, c’è una chitarra acustica (una Martin, e non poteva esserci destino diverso, visto il cognome del protagonista…), qualche volta il vibrare di una corda di nylon della classica, più raramente l’elettrica a riempire gli spazi in lontananza (avviene nella splendida Red Station Wagon, uno dei vertici dell’album per intensità interpretativa), ma tutto è in fondo rimesso alla sostanza del “narratore”, a quella voce che dà forma ai pensieri e ai personaggi, una ricerca di umanità come antidoto alla violenza che ci circonda. E il candore di queste canzoni, dalla drammaticità di Paper Crown al calore accogliente di All My Love, si percepisce immediatamente, secondo le regole antiche di un country folk, con qualche lontana eco di irish music fra le note, che si nutre di una tecnica chitarristica basilare eppure efficace nello sfruttare la trame del fingerpicking, alternato alla parte ritmica sullo strumento, portandoci a tu per tu con l’anima dello stesso Jeffrey Martin.

Thank God We Left The Garden
è stato registrato in totale solitudine tra le pareti di una piccola baracca che l’autore ha attrezzato nel suo giardino di casa: due microfoni, il silenzio e la concentrazione, una manciata di brani che avrebbero dovuto subire altre sorti, magari uno studio di registrazione più professionale e sonorità più arrangiate. Non è andata così, per fortuna, probabilmente perché Jeffrey Martin si è accorto che era già tutto lì quello di cui aveva bisogno.


    



<Credits>