The Avett Brothers
Magpie and the Dandelion
[Universal Republic
2013]

www.theavettbrothers.com


File Under: folk rock, Americana

di Fabio Cerbone (28/10/2013)

Il crepitio di voci, chitarre e banjo di Open Ended Life, con il suo passo rock rurale e spumeggiante, annuncia il secondo atto dei fratelli Scott e Seth Avett alla corte di Rick Rubin. Magpie and the Dandelion muove i passi esattamente da dove il successo internazionale e la definitiva maturazione di The Carpenter si erano fermati. D'altronde gli stessi Avett Brothers non fanno mistero che si tratti di registrazioni concepite e arrangiate nello stesso periodo di incubazione del predecessore, da qui la somiglianza strettissima delle melodie, dei suoni e quella sintesi tra campagna roots e melodia pop che li ha imposti tra i capofila del rinnovato linguaggio folk americano. Dall'altra parte del piatto pesano però le troppe analogie e una quasi inevitabile stanchezza compositiva, che rende Magpie and the Dandelion un disco offerto con eccessiva fretta, quando l'arte della selezione un tempo avrebbe consigliato più pazienza.

Oggi, lo sappiamo, si preferisce battere il ferro finchè è caldo: il sospetto è che abbiano ragione loro (...e Rick Rubin, che di certe dinamiche se ne intende), se nella prima settimana dall'uscita ufficiale l'album si è già infilato in top 10, consacrando, ove ve ne fosse bisogno, la febbre del pubblico per la nuova stagione folk. Peccato però che la storia personale degli Avett Brothers parlasse di una personalità e ricerca distanti dall'effimera presenza di altre formazioni del genere: dal North Carolina alle vette di Billboard, dietro si cela la sostanza di un percorso non comune sulle proprie radici. Delle undici caramelle folk rock raccolte dalla band (quindici nell'edizione deluxe con quattro tracce demo, non esattamente indispensabili) resta invece ben poco addosso, se non la sensazione di un disco più immediato del solito, pittoresco fin dalla copertina e molto scorrevole nella forma, ma che rifà semplicemente il verso a se stesso.

Lo stile cesellato con intelligenza e gusto in The Carpenter è ancora intatto: dalle carezze pop acustiche di Morning Song (all'organo l'ospite Bemmonth Tench dagli Heartbreakers) alle esplosioni di colori country in Another is waiting e Skin and Bones, dove il timbro vocale da orchestrina roots degli Avett Brothers si intreccia con l'andamento sostenuto e frizzante di piano e banjo. Ciò che manca è un briciolo di sostanza in più nelle canzoni e quella fantasia di un tempo, che qui si tramuta invece in una formula prevedibile: il delicato involucro di Never Been Alive e Good To You, la ninna nanna melodica di Bring Your Love To Me, il sussultare placido di The Clearness Is Gone con i toni del più classico alternative country, fino alle esplosioni un po' ampollose di Vanity. Chiuso un romanzo con un capitolo in parte superfluo o forse soltanto ridondante, si prendano adesso un bel respiro prima di tornare sui loro passi.



    


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