Beachwood Sparks
The Tarnished Gold
[Sub Pop/ Audioglobe
2012
]

www.subpop.com/artists/beachwood_sparks


File Under: west coast nostalgia

di Fabio Cerbone (05/07/2012)

Strano caso quello dei Beachwood Sparks, ma in fondo neppure così inedito per chi ha imparato a familiarizzare con le regole non scritte del rock'n'roll: semplicemente nati nel momento sbagliato (il posto invece era perfetto, Los Angeles, sotto il sole abbacinante della California), non hanno saputo o voluto capitalizzare un successo di culto che li avrebbe resi autentici capofila del rinascimento west coast, lo stesso che ci ha invasi in queste stagioni partendo dai Fleet Foxes e arrivando ai casi recenti di Jonathan Wilson e Father John Misty. Sorta di padri putativi di questa riscoperta, i loro esordi e soprattutto il piccolo capolavoro Once We Were Trees del 2001 sono rimasti episodi isolati, belle promesse sfaldatesi sotto il peso dell'indifferenza e delle scelte di vita dei singoli componenti. Un ep nel 2003, Make the Cowboy Robots Cry, manteneva accesa la fiammella, ma serviva soltanto a procrastinare lo scioglimento, mentre il solo Farmer Dave Scher nel frattempo tentava qualche sortita in solitaria, senza peraltro ottenere grandi risultati artistici.

The Tarnished Gold
dunque arriva un po' inaspettatamente a riprendersi il dovuto rispetto, se non che i tempi sono ormai maturi, anzi saturi, e di rivisitazioni a suon di Byrds, Flying Burrito Bros, Grateful Dead, morbida psichedelia e folk rock corretto all'acido ne abbiamo fatto indigestione. Peccato, perché chiamando a raccolta l'intera line up orginale, con Chris Gunst e Brent Rademaker a tessere le fila, i nuovi innesti di Ben Knight (The Tyde) e Neal Casal alle chitarre, Dan Horne alla pedal steel e lo stesso produttore del citato Once We Weere Trees Thom Monahan, tutto congiurava per una sorta di felice rimpatriata. Qualcosa di simile è stato ottenuto dalla band, che gigioneggia pigra e abbagliata dalla placida melodia californiana in Forget The Song, rotola sulle note di una byrdsiana Sparks Fly Again (inno involontario?) ricorda persino i dimenticati New Riders of the Purple Sage in Mullusk, e si reimpossessa del verbo country cosmico che fu di Gram Parsons nella stessa Tarnished Gold, ma si tratta per lo più di esercizi di stile, condotti senz'altro con una meticolosità da fare invidia ai più blasonati colleghi.

Canzoni come Water from the Well o la liquida Leave that Light On sembrano voler ribadire il concetto: armonie vocali, country rock etereo e coscienzioso rispetto di una stagione lontana sono spiattellati in faccia ai numerosi discepoli. La differenza però sta nei troppi ossequi che The Tarnished Gold tributa ai maestri del genere (fa eccezione la strampalata marcetta spanish di No Queremos Oro), preferendo fermarsi nel campo del puro rifacimento, sebbene suonato con un gusto invidiabile (Earl Jean, oppure il sobbalzare divertito di The Orange Grass Special, caricaturale fin dal titolo). Quando giungono i disciolti, acustici saluti di Goodbye pare quasi di scorgere il cavaliere di Happy Trails a salutarci da lontano...


    


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