Clarence Bucaro
Dreaming From The Heart of New York
[2020 Records  
2013]

www.clarencebucaro.com


File Under: Bourbon Street lullaby

di Gianfranco Callieri (24/05/2013)

Di fronte a un disco come Dreaming From The Heart of New York si potrebbe anche dare atto a Clarence Bucaro, al sesto lavoro dai tempi dell'ancora discreto Sweet Corn (2002), di aver trovato la misura perfetta della propria musica. Certo, una misura rintracciata seguendo un percorso euristico, facendo ricorso all'intuizione piuttosto che al metodo, confrontandosi con utensili espressivi tutti molto simili e nondimeno, ogni volta, rimodellati secondo necessità. Nonostante i frequenti cambi di residenza, dal nativo Ohio alla Louisiana, poi a Los Angeles e infine a Brooklyn, Bucaro non si è mai allontanato troppo dai suoni e dagli umori di New Orleans; semmai, nel corso degli anni, la sua scrittura ha perso l'iniziale infarinatura country-blues per dirigersi verso una canzone d'autore morbida e vellutata, piena di rimandi alle ballate del primo Jackson Browne e al soul urbano degli anni '70.

I brani del nostro, sempre più dolci, carezzevoli e rilassati, e ancora una volta cuciti assieme dalla supervisione del mentore Anders Osborne (produttore di quasi tutti gli album di Bucaro), assomigliano oggi ai timidi raggi di sole di una domenica mattina, al tepore ancora insicuro di un'alba appena riscaldata e ancora sonnacchiosa, al tremolare esitante di una candela accesa nel buio per celebrare la memoria di Terry Callier. Tutte cose belle e giuste, ci mancherebbe, ma anche parecchio sfuggenti. Chi, a proposito del songwriting di Bucaro, continua a evocare Van Morrison, semplicemente non sa di cosa sta parlando. Rispetto al cowboy di Belfast mancano, neanche a dirlo, la rabbia, la visione, la spiritualità sconfinante nell'ossessione. Qui tutto sembra essere inquadrato in scala ridotta: sono ridotte le ambizioni e gli spunti, è ridotta l'ampiezza dei riferimenti, ridotte (o monotematiche, fa lo stesso) le atmosfere. La regia di Osborne rappresenta, da sola, un avallo di qualità, e Bucaro possiede senz'altro il physique du rôle e la voce adatta per recitare la parte del James Taylor newyorchese. Solo che entrambi, almeno in questa occasione, paiono aver confuso il rigore con la piattezza, l'uniformità di registro con la noia.

Ne risulta un compito tanto perfettino quanto poco ispirato, tanto gradevole (come sottofondo) quanto trascurabile. Il folk-soul in punta di dita di Don't Know Much About Love, la sensualità semiacustica di Let Me Be Your Baby Tonight o gli armoniosi ornamenti smooth-soul di una a dir poco deliziosa Curtis Mayfield sono, a modo loro, episodi ineccepibili, ma stabiliscono una tendenza all'esitazione, all'ondeggiamento tra minimalismo dei toni e vaghezza del tocco, purtroppo imperversante ovunque e mai contraddetta da un guizzo d'inventiva, uno scarto nel linguaggio, un ribaltamento di prospettiva. Nulla di male, per carità, o meglio, non essendoci, in Dreaming From The Heart Of New York, nulla di particolarmente rilevante, nemmeno vi si può rinvenire alcunché di troppo nocivo. Come detto, questo, sotto il profilo della coerenza di stile, è un lavoro perfetto (fin troppo). Quando però si arriva alla sequenza, micidiale per tedio, che va da New Sky alla conclusiva Winter Blue (cinque canzoni di fila senza il barlume di un'idea), ci si domanda se Bucaro, data la disarmante latitanza di qualsiasi slancio compositivo, non abbia per caso esaurito ogni suggestione nell'inventarsi titoli come Ocean Size Heart o Summer Rain. O se, suspicione ben più offensiva, nello scrivere Light As A Feather, "leggero come una piuma", non gli sia uscita una definizione involontaria, ma attendibilissima, del peso specifico dell'intero Dreaming From The Heart Of New York.


     


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