Neko Case
The Worse Things Get, The Harder I Fight, The Harder I Fight, The More I Love You
[Anti/ Self
2013]

www.nekocase.com


File Under: It's dark no more

di Gianuario Rivelli (07/09/2013)

Lo avreste mai detto che dall’angelo nero potessero sgorgare luce e aria fresca? Avreste pensato che la sinuosa chanteuse delle tonalità oscure portasse in dote leggerezza e positività? Che Neko Case sia un’artista idiosincratica alle regole (la cadenza delle sue uscite, tanto per dirne una, non è esattemente regolare) e da cui non sai mai cosa attenderti è risaputo, ma che tornasse sulle scene quattro anni dopo il controverso Middle Cyclone (successo di vendite ma riserve sulla qualità artistica) con un disco che si distingue per immediatezza delle melodie e varietà di colori non erano in tanti ad aspettarselo. Ebbene sono proprio queste le sensazioni che emergono dall’ascolto di The Worse Things Get, The Harder I Fight,Tthe Harder I Fight The More I Love You, tanto arzigogolato nel titolo quanto lineare, persino spensierato nel sound, benché i testi rimangano pungenti e non conciliati (“I’m a man’s man, I’ve always been/ But make no mistake I’ve invested in/ A woman’s heart is the watermark by which I measure everything” o “I’m not fighting for your freedom, I am fighting to be wild”, tanto per citare due esempi).

La catarsi al culmine di un periodo di lutti e sofferenze (“Quattro anni della mia vita ne hanno presi in ostaggio dieci e poi me ne hanno restituiti dodici” la sintesi di Neko) è dunque nel segno della leggerezza del tocco, dell’urgenza creativa, di canzoni delicate che si librano sulle ali di una voce perfetta, vero e proprio strumento musicale che si aggiunge e spesso sostituisce chitarra (Paul Rigby), basso (Tom V.Ray), pedal steel e banjo (John Rauhouse). Che dalla finestra della sua fattoria nel Vermont il panorama sia mutato si evince eccome sin dal primo singolo: Man è una sarabanda power-pop arguta e divertita con piano, fiati e un pizzico di elettricità che le danno un allure irresistibile. Il pop è disseminato in diversi punti del disco: ammantato di soul in Local girl, con infusioni reggae in Bracing for Sunday e mescolato all’americana in City Swan. Anche il folk è pacificato, le atmosfere perdono cupezza e acquistano solarità (Wild Creatures), talvolta scarnificando il suono e facendosi portare per mano da una voce che basta a se stessa (I’m from Nowhere, una delizia). Il brano più intenso e soprendente è Nearly Midnight, Honolulu: un celestiale canto a cappella cuce un vestito straniante alle parole crudeli che una madre rivolge alla sua bambina (“Get the fuck away from me/Why don’t you ever shut up”), ascoltate da Neko Case alla fermata dell’autobus e riportate letteralmente nel ritornello.

Tracce del passato comunque non mancano: c’è il country–soul (Night Still Comes, magnifica), ci sono i timbri notturni che lambiscono il jazz (la conturbante Where Did I Leave that Fire), c’è la nostalgia soffusa (Afraid, cover di Nico). Il finale è dedicato all’unica musica che Neko riusciva ad ascoltare nei momenti bui recentemente vissuti: Ragtime, mid-tempo con coda trionfale di fiati. Non tutto in The Worse Things Get…è di primissima scelta e qualcuno storcerà il naso, ma queste canzoni erano quanto necessitava a Neko Case per togliersi la proverbiale scimmia dalla spalla e ripartire, ribadendo con decisione la sua classe e la sua centralità nel panorama dell’alternative country al femminile. E se lasciate che la sua voce cristallina e i limpidi suoni acustici vi accompagnino in questo viaggio, un po’ di zavorra potrebbe davvero andar via anche dalle vostre giornate.



     


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