Leonard Cohen
Old Ideas
[
Columbia
2012]

www.leonardcohen.com


File Under: folk, singer songwriter

di Emilio Mera (10/02/2012)

Reduce da un lungo tour mondiale che ha fatto sold out ovunque, l'uomo di Montreal, il poeta maledetto, lo straccivendolo del cuore, il songwriter del famoso impermeabile blu, il menestrello con la voce catramosa torna con un album d'inediti dopo 8 lunghi anni. E lo ritroviamo rilassato, seduto su una sedia, come nell'immagine di copertina con lo sguardo altrove, gli occhi nascosti dall'immancabile borsalino e il volto scavato dal tempo, dalla vita vissuta, dalle battaglie vinte e da quelle perse. E a 77 anni suonati si rimette in gioco, ritrovando l'ispirazione di un tempo per la maturità e la consacrazione definitiva. "Non ho futuro, ho i giorni contati, il presente non è più così piacevole. Pensavo che il passato mi bastasse, ma l'oscurità ha inghiottito anche quello" canta nel viscerale blues The Darkness (brano già proposto dal vivo) facendo un ritratto impietoso del suo presente e riprendendo "vecchie idee" di un tempo: sesso, spiritualità e purtroppo anche la morte. La sua voce, anche se consumata dal tempo, rimane tagliente come una lama di coltello, riuscendo ancora a fare breccia nel cuore di molti, risultando più introspettiva, oscura ma sempre capace di commuoverci.

Ed è proprio la voce dell'uomo di Montreal la cosa più bella di questo Old Ideas, una voce incredibilmente bassa che sembra parlare al cuore e ai suoi più profondi desideri. Rispetto agli ultimi due album, Cohen riesce ad innalzare le sue ballate e i suoi monologhi all'essenzialità di un tempo, tralasciando arrangiamenti e orchestrazioni inutili e ritornando al suo personale folk scarno e profondo (anche se permangono alcuni suoni sintetici creati dal buon vecchio Bontempi). Per avere un termine di paragone Old Ideas dimostra la stessa profondità di Time Out Of Mind di Dylan, degli American Recordings di Cash o di Steps To Heaven di Charlie Louvin. Ritroviamo così 10 canzoni che hanno la capacità di minare il cuore, di farti piangere, farti ballare come solo Cohen riesce a fare. E quell'altrove di cui parla in Going Home è quell'aldilà che sente avvicinarsi ed evidenziato da voci angeliche (un lait motif di tutto l'album: le Webb Sisters, Sharon Robinson e Jennifer Warnes) e da un'aurea di archi e tastiere. La lunga Amen è una ballata contornata da banjo, violino in gypsy style e da una tromba sintetica (volute da Patrick Leonard producer di Madonna ai tempi di Who's That Girl) con i cori femminili che avvolgono tutto il brano come una coperta calda in una fredda notte d'inverno.

Show Me the Place
(potrebbe essere l'erede di Hallelujah) è un sofferto monologo sul dolore, la sofferenza e la redenzione eterna, è introdotta dal piano ed è carica di spiritualità grazie al violino e alle voci femminili. La notturna e jazzata Anyhow ricorda il primo Waits ed è forse il brano più vaporoso e meno convincente della raccolta. Ritorna con la bellissima Crazy To Love You il suo folk viscerale ed intimo costruito su pochi arpeggi di chitarra con la voce sempre più intensa e profonda. Come Healing suona come un inno sacro con le voci delle sorelle Webb che sembrano angeli venuti dal cielo. La riuscita Banjo è costruita sulle note di un dobro, clarinetto e fiati "New Orleans Style", con una melodia roots e la voce baritonale del canadese in primo piano. La dolce Lullaby (già eseguita dal vivo) gioca sugli accordi di una fisarmonica e sulla voce di Sharon, con una bella melodia che ti si appiccica addosso. La conclusiva Different Sides, che parla delle differenze insormontabili tra i due sessi, è la pop song per antonomasia con bel ritornello che dimostra ancora una volta la grande classe del canadese. Leonard ha forse realizzato il suo ultimo capolavoro, ora può comodamente riposarsi al top della sua Tower of Song.


   


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