Shawn Colvin
All Fall Down
[Nonesuch
2012
]

www.shawncolvin.com
www.nonesuch.com

File Under: singer-songwriter, folk rock

di Marco Restelli (20/06/2012)

Ormai oltre un lustro è passato dall'uscita dell'ultimo album in studio di Shawn Colvin ma, d'altra parte, quelli che la seguono sin dagli esordi (lo splendido Steady On, del 1988) si sono abituati, di volta in volta, ad attenderla sempre un po' più a lungo. Quello di These four walls (2006) fu il momento dell'abbandono della highway delle major (Sony Music) in favore della impervia open road delle etichette indipendenti (Nonesuch), evidentemente più disposte a lasciar esprimere gli artisti secondo il proprio modo di essere, accettandone con rispetto i tempi di gestazione. Per questa sua ottava prova, la Colvin ha lasciato da parte per la prima volta la produzione di John Leventhal, da sempre una sorta di coperta di Linus, e si è abbandonata alle cure dell'amico Buddy Miller, con il quale ha girato gli States in un memorabile tour acustico a quattro voci. Insieme a loro c'erano altre due celebri donzelle del panorama country folk americano come Emmylou Harris e Patty Griffin e non è un caso che le abbia volute come compagne di viaggio a collaborare, in qualche modo al suo il nuovo progetto.

E a dire il vero, questo clima di intimità e fiducia fra gli artisti coinvolti risulta evidente all'ascolto di ognuna delle 11 tracce, a conferma che quando i sodalizi sono fondati sull'amicizia, superano di gran lunga quelli costruiti sulla sola stima professionale. In American Jerusalem (critica al vetriolo alla società d'oltre oceano) ad esempio, riceviamo subito un caldo benvenuto col giusto mix di chitarre acustiche ed elettriche, pedal steel e fisarmonica a stratificarne lo sfondo, dopo una title track che, ancorché scelta come singolo apripista, risulta paradossalmente meno immediata del resto dell'album. Piacevoli poi, sia i violini della rivisitazione uptempo di Knowing What I Know Now (già edita nel live del 1988), che la calma placida di una dilatata Anne of the Thousand Days, capace di trascinarci con sé direttamente in Colorado, così come alcuni suoi vecchi pezzi d.o.c. (Set the prairie on fire, da Fat city…tanto per citarne una). La perla del disco, però, la troviamo piazzata giusto nel mezzo con Change Is On the Way (ancora bucolici violini da sogno), ballata d'altri tempi che, nel descrivere la fine di un amore, lascia tuttavia una gran pace dentro, riconfermando che la musica sa svolgere quel ruolo di "guaritrice dell'anima" che solo chi la ama è in grado di apprezzare.

Non da meno, a dire il vero, risultano i brani seguenti, I Don't Know You e Fall of Rome, in cui spicca il duetto rock con Jakob Dylan. La malinconica "coppia d'assi" acustica (una dolcissima Up On that Hill e la lullaby On My Own) entrambe scritte da due autori semi sconosciuti, viene calata sul tavolo giusto per il gran finale a chiudere in bellezza un album che definirei prezioso. Insomma, penso che l'abbiate capito: le lunghe attese anche questa volta non sono state tradite, riconsegnandoci un'artista sincera e disposta più che mai ad aprirci il suo cuore, allargando a dismisura il nostro. Bentornata Shawn!


   


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