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appalachian folk, alt-country di
Fabio Cerbone (02/09/2013)
Robbie Fulks torna all'ovile: quella stessa Bloodshot che lo aveva lanciato
nell'arena alternative country allora in fermento, con il fondamentale esordio
Country Love Songs (1996), lo riaccoglie a braccia aperte dopo una parentesi in
casa Yep Roc, sodalizio quest'ultimo che aveva fruttato il ritorno di forma con
Georgia Hard e un doppio dal vivo. Questa volta rientra dalla finestra persino
Steve Albini, principe della filosofia indie rock solitamente non associato
a sonorità country, eppure uno dei primi mentori di Fulks, folgorato dal songwriting
caustico di un musicista che riportava in auge certi rinnegati del genere come
Kinky Friedman o Terry Allen (il nostro Fulks un tempo intonava, fra le altre,
Every Kind of Music but Country, She Took A Lot of Pills (and Died)
e Fuck This Town).
Tuttavia, messa un po' da parte proprio quell'ironia
corrosiva per cui è stato giustamente definito il talento più sregolato e pungente
dell'intera scena alt-country (memorabili certe sue sparate contro Ryan Adams),
Robbie Fulks passa oggi al sentimentalismo e alla compassione di Gone Away
Backward, un album costruito sui ricordi di una vecchia America in cui
lui stesso è cresciuto (nativo della Pennsylvania e trasferitosi in Virginia)
e della quale si sta perdendo passo dopo passo il senso più profondo di comunità.
Operazione nostalgia fino ad un certo punto, poiché Fulks resta una penna troppo
acuta per perdersi in banali rievocazioni, arriva comunque alla fine di un costante
percorso di riappropriazione delle sue radici più rurali, in parte già avviato
con il citato Georgia Hard. Lontani sono dunque i tempi del rock'n'roll frizzante
di Let's Kill Saturday Night (unico disco major per la Geffen, mai amato dal nostro,
eppure trattasi di una vera bomba roots rock) e ancor più dell'intelligente pastiche
pop di Couples in Trouble, dischi che prospettavano tutt'altro futuro, quella
esplosione presso il grande pubblico Americana mai realemente arrivata.
Oggi
ci sono quindi le asciutte cadenze appalachiane di I'll
Trade Your Money for Your Wine, gli irreprensibili strumentali Snake
Chapman's Tune e Pacific Slope, le memorie
bluegrass di Long I Ride e Sometimes
the Grass Is Really Greener, l'hillbilly di When
You Get to the Bottom a sentenziare la scelta stilistica di Fulks di
spostarsi verso la campagna. Come a sancire l'eco "steinbeckiana" evocata dalla
stessa copertina in versione "tempeste di sabbia" della Grande Depressione.
Tale orizzonte acustico, richiamato insieme a Mike Bub (Del McCoury band), Robbie
Gjersoe (The Flatlanders, Joe Ely), Ron Spears e Jenny Scheinman, piccolo combo
dall'anima rurale, non cede di un millimetro alle lusinghe della modernità e così
Gone Away Backward sfiora un'accogliente atmosfera di memorie, che alimenta l'immaginazione
di un autore più conservatore di quanto ci si potesse aspettare. Amorevole, certo,
ma anche un po' troppo monocorde nella scelta delle ambientazioni musicali.