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Americana, country folk di
Marco Restelli (02/05/2013)
A
dirvi tutta la verità erano sei anni che aspettavo un nuovo disco di Patty
Griffin. Eh già, perché quando questa ormai quasi cinquantenne cantante originaria
del Maine diede alle stampe quella sorta di concept album che fu Dowtown
Church (registrato proprio in una chiesa, nel 2010), composto esclusivamente
da canzoni spirituali, lo trovai un po' lontano dal suo predecessore (Childern
Running Through, pubblicato nel 2007) che ritenevo invece di altissima qualità,
come il resto della sua discografia. La prima dote che le riconosco è la capacità
di interpretare con straordinaria intensità i suoi pezzi e di riuscire a trasmettere
sempre e comunque emozioni, al di là del contesto strumentale in cui si dipanano
le dolci melodie che, generalmente, ne costituiscono l'ossatura.
Negli
ultimi tempi, dopo aver avuto modo di girare in tour insieme ad alcuni amici di
vecchia data del calibro di Buddy Miller, Shawn Colvin ed Emmylou Harris, è entrata
a far parte della Band of Joy che ha accompagnato Robert Plant nell'omonimo disco
del 2010 e, a quanto pare, in American Kid sembra proprio che sia
stato tale ultimo sodalizio a rimanerle particolarmente a cuore, tanto da volere
ospitare il celebre frontman dei Zeppelin in un paio di canzoni. Partendo proprio
dall'analisi di queste ultime, anche alla luce del prestigio del partner in questione,
sembra inevitabile non percepire l'eco di quel Raising Sand che vide Plant duettare
con quell'usignolo biondo (che tra l'altro adoro) di Alison Krauss, con esiti
di critica molto positivi. Ebbene sia in Ohio
che in Highway Song a mio avviso la chimica
fra i due interpreti suona meno forzata della precedente o, se vogliamo, più naturale
e di conseguenza il risultato finale è ancor più notevole.
Negli altri
dieci brani si susseguono prevalentemente ballate intime, nelle quali gli arrangiamenti
con la chitarra acustica risaltano nettamente, confermando quanto di buono già
detto della Griffin qualche riga più sopra. In Wild Old
Dog ad esempio, parla con grande profondità di come l'uomo abbia oramai
abbandonato Dio tanto da poterlo considerare, con un'immagine certamente un po'
forte, come un cane lasciato sull'autostrada, senza che ormai appartenga più a
nessuno. Bellissima. Faithful Son, leggermente
più ritmata, scioglie il cuore ad ogni nota così come Go
Wherever You Wanna Go, piazzata giustamente all'inizio del disco, dove
la voce di Patty si mescola a meraviglia con il suono di almeno quattro chitarre
sullo sfondo (fra le quali un dobro a farla da padrone), ricordando a tutti noi
perché il genere Americana resta uno dei pochi che ancora vale la pena di seguire
con attenzione e passione. Un'ultima citazione per Irish
Boy che, con i suoi due minuti e spiccioli di piano e voce, stenderebbe
anche un toro e per la finale Gonna Miss When You're
Gone, che ha una sorta di anima soul d'altri tempi. Spettacolari entrambe.
Chiuso dicendo che American Kid è "semplicemente" il mio disco preferito
di questa cantante americana, nonché in generale uno dei più belli di questa prima
parte del 2013 e ritengo, quindi, legittima la mia personalissima speranza che
possa finalmente raccogliere quanto merita, anche in termini meramente più commerciali.
*In uscita: 13 maggio Uk e Europa/ 7 maggio USA