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Gram Parson's dream di
Fabio Cerbone (01/07/2013)
La California: uno "stato della mente" prima ancora che un concreto luogo geografico,
soprattutto per chi ha frequentato un preciso recinto musicale, dentro un tracciato
fra più densi che la storia del rock'n'roll ricordi. Deve essere così anche per
il collettivo dei I See Hawks In L.A., dieci musicisti riuniti intorno
al songwriting di navigati sidemen come Rob Waller, Paul Laques e Paul Marshall,
i quali non mollano la presa su quel sogno e anzi si fanno ritrarre in copertina
con il loro aspetto da attempati e irruducibili cowboy hippie. Al loro settimo
capitolo danno l'impressione di vivere in un mondo parallelo, dove anche la piccola
rivoluzione e il linguaggio più schietto dell'alternative country non hanno intaccato
più del dovuto le loro prospettive: il suono che hanno in testa si dirige direttamente
alla fonte, senza mediazioni con il presente, ricostruendo un'epopea che ha i
colori del country cosmico di Gram Parsons, le utopie psichedeliche dei Byrds,
il cielo luminoso del folk rock che si ergeva sulla West Coast, prima che tutto
si schiantasse in un mare di coca e famelico business discografico.
Non
è esattamente una teca museale il contenuto di Mystery Drug, ma
poco ci manca, poiché il mestiere e la passione rendono Oklahoma's
Going Dry, Sky Island o Yesterday's
Coffee quasi simmetriche rispetto agli originali: sono piccole madeleine
che spostano indietro la lancetta dell'orologio, tra armonie vocali curate eppure
mai stucchevoli, una intonazione agreste di fondo che aggiunge di tanto in tanto
una folata di accordion (Richie Lawrence) o una pepata slide guitar sudista che
scompagina di quel tanto l'andazzo di The Beauty of the Better State e
One Drop of Human Blood. Stile e obiettivi
non sono cambiati in più di dieci anni di miltanza, anche se qualche alto e basso
ha messo in discussione l'intero progetto: per fortuna alle velleità acustiche
un po' troppo involute di New Kind of Lonely (2012), I See Hakws in L.A. ribattono
oggi con un album dalle solide fondamenta, richiamando in servizio la pedal steel
di Rick Shea (Dave Alvin & The Guilty Men) e una scrittura più sfaccettatata,
che parla dalla e per la strada.
Che tutto ciò si traduca immediatamente
in un trionfo è un altro discorso: Stop Driving Like
an Asshole è buttata via fin dal titolo, Rock
and Roll Cymbal from The Seventies non si discosta molto, ma se non
altro attutisce con un gran galoppare honky tonk elettrico, mentre My Local
Merchants vorrebbe suonare cow-punk come ai tempi dei Beat Farmers, ma è troppo
breve e inconsistente. Quello che resta intorno possiede comunque le qualità dei
migliori mestieranti, gli stessi che hanno conquistato le simpatie di Lucinda
williams (che a suo tempo li volle come apertura dei suoi tour) e del buon Chris
Hillman...il quale si sarà rivisto giovane e indomito nella ricerca di un matrimonio
che allora sembrava impossibile, quello tra country e rock.